Matteo, ucciso da un carabiniere ad Ala: la famiglia impugna la richiesta di archiviazione dell’inchiesta
Il legale della famiglia contesta le conclusioni della Procura: tutti sapevano che Tenni era affetto da patologia psichiatrica, e sulla dinamica serve un confronto in aula, «non si può morire così»
ALA. «Non condividiamo la decisione della procura e per questo abbiamo presentato opposizione alla richiesta di archiviazione». Così l'avvocato Andrea de Bertolini, legale della famiglia di Matteo Tenni (nella foto), l'uomo ucciso davanti a casa sua a Pilcante di Ala dai carabinieri il 9 aprile scorso.
La pm Viviana Del Tedesco, dopo aver acquisito il referto autoptico e le relazioni degli investigatori, non ha ravvisato colpe ed ha ritenuto quanto accaduto un incidente. Il carabiniere di servizio quella sera, A. A. in forza alla stazione di Ala, secondo la procura non avrebbe affatto sparato per colpire ma per avvertire. Per caso, sempre secondo gli inquirenti, la vittima avrebbe intercettato il colpo morendo dissanguato. E questo nonostante i tentativi disperati degli stessi militari di tamponare la ferita in attesa dell'arrivo dell'ambulanza.
Un incidente, appunto, che non contemplerebbe nemmeno l'ipotesi di reato meno grave, visto che c'è stato un morto, quella di eccesso di legittima difesa.
La famiglia di Matteo, però, vuole risposte chiare. Nessun desiderio di vendetta o di giustizia sommaria ma chiede di sapere perché quel ragazzone di 44 anni è morto sparato nel cortile di casa sua. Tantopiù che era un soggetto fragile, seguito dai servizi sociali e tutti, non solo in paese, lo conoscevano. E sapevano anche delle potenziali reazioni che avrebbe avuto se si fosse sentito in pericolo.
Per questo la richiesta di archivazione è stata impugnata. «Non è possibile morire così. Di fronte a questa tragedia ci deve essere una responsabilità. E noi dal gip porteremo le nostre carte».
La questione, insomma, non è affatto chiusa anche se gli elementi inseriti nel fascicolo della pm sembrano chiari. Ma a spingere quantomeno su un supplemento di indagine è proprio il fatto che il disagio psichico di Matteo fosse ben noto e, di conseguenza, qualunque operatore delle forze dell'ordine sapesse come comportarsi di fronte, come in questo caso, ad un salto di posto di blocco. Insomma, dopo sei mesi di indagini si attende il responso del giudice delle indagini preliminari prima di capire se affrontare il dibattito in un'aula di tribunale o se archiviare una tragedia come tale.
Oltre all'autopsia, comunque, ad avvalorare la tesi della procura è anche il filmato della bodycam che indossava il collega del carabiniere che ha sparato. Ma anche questo aspetto sarà analizzato dalla parte civile davanti al gip. Per chiarire una volta per tutte come quel solo colpo, mortale però, abbia potuto strappare un'esistenza. E valutare se il militare che si è trovato davanti Matteo Tenni con l'accetta in mano, abbia colpe oppure no.
Che abbia mirato in basso è accertato, se si sia trattato di sfortuna o meno è però ancora da verificare. Fatto sta che il proiettile ha reciso l'arteria femorale uccidendo il malcapitato per dissanguamento. E Matteo Tenni, 44 anni e una vita difficile, è morto in pochi minuti.
Era affetto da decenni da una patologia conclamata che di quando in quando faceva capolino con violenza trasformandolo. Chi lo conosceva lo dipingeva come un ragazzone problematico ma tranquillo. Però il germe della pazzia ogni tanto usciva e lo cambiava radicalmente. Come quel tardo pomeriggio di un venerdì di primavera quando si è spento sul vialetto di casa, in via Angelini a Pilcante. Una tragedia che è doppia, perché a colpirlo a morte è stato un carabiniere esperto che ha sparato perché si sentiva minacciato da un energumeno che brandiva l'accetta.