Non si trovano farmacisti, allarme chiusure anche in Trentino: «Numero chiuso in facoltà e carichi di lavoro ci mettono in crisi»
Il periodo del covid, con il super-lavoro dei tamponi, mette in difficoltà i punti vendita: i giovani sono pochi, e poi restano poco perchè sono molto contesi
TRENTO. Non siamo ai livelli di Bolzano, dove ha dovuto addirittura chiudere, fino alla fine di maggio, la farmacia di piazza Domenicani, ma anche a Trento e in provincia, dove non ci sono i problemi di bilinguismo che complicano le situazioni, la carenza di farmacisti disposti a lavorare dietro al bancone è un problema.
Problema non del tutto nuovo, ma che si è acuito in tempi di pandemia e in particolare negli ultimi mesi, quando i test di positività con tampone nasale sono diventati di largo utilizzo e affidati appunto in prima battuta proprio ai farmacisti.
«È stato un momento in cui effettivamente la richiesta è stata pressante e la ricerca affannosa da parte dei titolari» conferma Tiziana Dal Lago, presidente dell'Ordine provinciale. A questo si è aggiunto il fatto che il coronavirus ha colpito molto la categoria, per ovvi motivi particolarmente esposta, e le assenze per malattia sono state numerose. Non è stato e non è insomma un periodo semplice per le circa 150 farmacie trentine.I motivi di questi buchi di organico difficilmente colmabili sono diversi. C'è innanzitutto un problema di cattiva programmazione simile a quella delle professioni sanitarie. Per diventare farmacisti si deve seguire un corso universitario di cinque anni a cui si accede con test di accesso e di solito con numero programmato. Per il prossimo anno accademico la Fofi, federazione nazionale degli ordini dei farmacisti, ha chiesto alle realtà locali i dati sul fabbisogno futuro. Ma, ammesso che si riescano a fare stime corrette, ci vorrà qualche anno per avere a disposizione nuove professionalità disponibili e in questo momento è in atto un ricambio generazionale che sta sguarnendo i ranghi.
«Oltre alla programmazione sbagliata del passato - spiega Dal Lago - va detto che molti farmacisti laureati fanno anche scelte diverse, andando a lavorare in aziende o in altri settori. La farmacia è un lavoro impegnativo, specie per le donne che sono la maggioranza e che costrette all'orario spezzato fanno fatica a conciliare lavoro e famiglia».
Il concetto dello scarso appeal del lavoro nei punti vendita è confermato anche da Lorenzo Arnoldi, direttore delle Farmacie comunali. Oltre a questo e al tema del ricambio generazionale nelle farmacie pubbliche un altro fattore che rende difficile mantenere in casa le professionalità acquisite è la concorrenza del settore privato, sia farmaceutico che parafarmaceutico, che sta assorbendo più forza lavoro rispetto al passato.
Su una sessantina di addetti in organico le Farmacie comunali hanno visto una quindicina di dipendenti andare in pensione negli ultimi due anni, rimpiazzati a fatica con selezioni che vengono ripetute ogni pochi mesi. L'ultima, fatta in gennaio, metteva in palio tre posti a tempo indeterminato e si sono presentati appena quattro candidati.
Ma poi non è detto che tutti i selezionati rimangano, e rimangano a lungo. «Siamo sempre in cerca - spiega Arnoldi - e per assegnare posti anche a tempo determinato che coprano le esigenze contingenti continuiamo a valutare i curricula che ci mandano e a cercare disponibilità». In questo momento in organico i farmacisti sono una sessantina e bene o male soddisfano le necessità. «Ma se trovassimo altre tre o quattro persone saremmo più tranquilli - ammette Arnoldi - anche se siamo tutto sommato fiduciosi di riuscire a "scollinare", superando il momento più difficile e arrivando a stabilizzarci entro l'autunno».