Bonus bebé, illegittimi i 10 anni di residenza, la giunta Fugatti costretta a modificare il regolamento
Anni di resistenza, la pronuncia di incostituzionalità della Consulta, una sentenza del Tribunale di Rovereto, ed alla fine la provincia deve cedere
TRENTO. Non è giusto corrispondere il bonus bebè solo a quei bimbi le cui famiglie sono in Italia da almeno dieci anni. La sentenza della Corte Costituzionale di aprile era stata chiara, ed ora la giunta provinciale ha deliberato che bisogna cambiare il regolamento con cui si stabiliscono i criteri per accedere a questi contributi, tutt'altro che trascurabili: si parla infatti di 1.200 euro l'anno per il primo figlio; 1.440 per il secondo figlio; 2.400 per il terzo figlio e successivi.
L'assegno è riconosciuto alle famiglie che hanno un Icef massimo di 0,40, dura tre anni.
Il linguaggio della delibera approvata martedì in tema di «promozione della natalità e del benessere familiare» è spiccatamente giuridico e, come deve essere, rimanda a commi, articoli, leggi, ricorsi e sentenze. Si risolve con la richiesta alla giunta provinciale di modificare il regolamento che definisce i requisiti per poter accedere al bonus bebè.
Nelle pieghe di questo documento c'è tutta una storia che riguarda quei bambini che, solo perché erano venuti al mondo da famiglie straniere non residenti da dieci anni in Italia, non potevano godere degli stessi diritti dei bambini italiani, una vera discriminazione fatta sulla pelle dei più piccoli. Insomma alla fine la Provincia ha dovuto elegantemente fare marcia indietro su un tema che aveva aperto molte discussioni, aveva visto manifestazioni di piazza e una partecipata campagna di raccolta firme. Ed ora deve legiferare di conseguenza.
Tutto inizia con la Legge provinciale 2 marzo 2011 per la promozione del benessere familiare e della natalità, che prevedeva la concessione di un contributo per la nascita di ogni figlio, dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2024. Veniva stabilito che per accedere all'assegno bisognava aver maturato una residenza anagrafica continuativa in provincia di Trento di almeno due anni negli ultimi dieci. E fin qui, tutto bene.
Ma poi si faceva riferimento ad un decreto legge del 2019 che fissava un nuovo requisito per aver accesso alle agevolazioni riservate ai più deboli, ovvero la residenza in Italia di almeno dieci anni. Immancabile il ricorso di un cittadino straniero che, con l'appoggio dell'Associazione Studi Giuridici per l'Immigrazione, chiedeva la disapplicazione o la remissione alla Corte Costituzionale per una pronuncia di illegittimità costituzionale.
Due mesi fa il Tribunale di Rovereto ha confermato la natura discriminatoria della condotta della Provincia e ha disposto di modificare il Regolamento.
Martedì la delibera provinciale che "sana" questa situazione.
Da oggi, dunque, anche in Trentino «a un cittadino italiano o di un Paese facente parte dell'Unione europea, o familiare degli stessi, che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadino di Paesi terzi in possesso di permesso unico di lavoro o di permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo o di permesso per protezione internazionale» è richiesta la residenza anagrafica di due anni in Trentino, e non più di dieci in Italia.