L'ok all'estradizione di Assange, bufera su Londra. Wikileaks: un giorno nero per la libertà d'informazione e per la democrazia
Polemiche e proteste dopo il via libera alla consegna a Washington del giornalista australiano che rischia di scontare in un carcere Usa una pesantissima condanna per aver diffuso documenti riservati riguardanti anche crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan
AMNESTY "La sua estradizione è un attacco a tutto il giornalismo"
DENUNCIA La Cia voleva rapire e assassinare Assange
LONDRA. La ministra dell'Interno britannica, Priti Patel, ha ordinato l'estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange.
La decisione, che tocca la libertà di stampa, ha scatenato una ridda di proteste e polemiche in tutto il mondo.
Il via libera finale arriva dopo che nel Regno Unito era stata completata la procedura giudiziaria sulla vicenda dell'attivista australiano che rischia di scontare in un carcere Usa una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere tramite Wikileaks documenti riservati contenenti fra l'altro informazioni su crimini di guerra commessi dalle forze Usa in Iraq e Afghanistan.
Dura la reazione di Wikileaks, "una giornata buia per la libertà di stampa".
Per il governo britannico di Boris Johnson è la seconda bufera in pochi giorni, sul fronte dei diritti civili e del livello di democrazia: l'altra riguarda il contestato piano di trasferimenti dal Regno Unito in Ruanda di una parte di migranti sbarcati illegalmente sull'isola e in attesa di risposta sulle loro richieste di protezione umanitaria o di asilo politico (sarebbe quindi espatriati preventivamente in attesa dell'iter legale).
Il cofondatore australiano di Wikileaks, che compirà 51 anni il 3 luglio, non verrà comunque consegnato agli Stati Uniti immediatamente.
Ha infatti ancora 14 giorni di tempo per tentare un ultimo appello, contro l'adeguatezza del provvedimento ministeriale, di fronte alla giustizia britannica; e, nel caso di un rigetto (pressoché scontato), di provare a rivolgersi pure alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, organismo che fa capo al Consiglio d'Europa di cui il Regno Unito fa tuttora parte, perché la Brexit riguardò solo l'adido all'Ue.
"In base alla legge sull'estradizione (Extradition Act) del 2003, il ministro è tenuto a firmare l'ordine di estradizione se non ha basi per proibire che esso venga eseguito", si legge in una nota esplicativa diffusa a nome di Patel dall'Home Office, il dicastero dell'Interno britannico.
"Il 17 giugno - recita ancora il comunicato - in seguito al giudizio dato sia dalla Corte di primo grado sia dall'Alta Corte, l'estradizione negli Usa del signor Julian Assange à stata quindi ordinata. Il signor Assange conserva tuttavia il diritto di fare appello entro il termine normale di 14 giorni". Il ministero nota in ogni modo come "in questo caso le Corti del Regno Unito non abbiano riscontrato il rischio di abusi, di un trattamento ingiusto od oppressivo contro Assange nell'ambito del processo di estradizione. E neppure hanno riscontrato che negli Stati Uniti egli possa andare incontro a una procedura incompatibile con i suoi diritti umani, incluso il diritto a un processo giusto o alla sua libera espressione", sancendo che "sarà trattato in modo appropriato anche in relazione alla sua salute".
Le motivazioni formali della ministra non cancellano peraltro le polemiche contro l'intera vicenda della caccia giudiziaria all'attivista australiano, inseguito da Washington da oltre 10 anni. Vicenda denunciata come iniqua e persecutoria da molti sostenitori, da organizzazioni umanitarie come Amnesty International, da agenzie dell'Onu, da alcuni periti medici e da diversi media internazionali.
"Un giorno nero" non solo per la libertà d'informazione, ma anche per la "democrazia britannica", denuncia Stella Morris, avvocata sudafricana specialista in diritti umani che ha dato due figli a Julian Assange durante gli anni del suo asilo nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra e lo ha poi sposato nei mesi scorsi nel carcere londinese di Belmarsh, condannando all'unisono con WikiLeaks il via libera del governo di Boris Johnson, alla contestata estradizione dell'attivista e giornalista australiano negli Usa: dove egli rischia di fatto di finire i suoi giorni in galera.
"Chiunque in questo Paese abbia a cuore la libertà di espressione, dovrebbe vergognarsi profondamente" dell'approvazione sancita da Patel dell'estradizione agli Usa, "un Paese che ha complottato per assassinarlo", ha detto Morris.
"Julian non ha fatto nulla di sbagliato, è un giornalista ed editore punito per aver fatto il suo dovere" rivelando documenti riservati e informazioni imbarazzanti su atti compiuti da vari Stati, Usa compresi.
"Priti Patel aveva il potere di fare la cosa giusta, invece sarà ricordata come complice degli Stati Uniti, del loro progetto di trasformare il giornalismo investigativo in un'impresa criminale", ha aggiunto.
Secondo Morris, comunque, anche se "la strada verso la libertà di Julian si fa lunga e tortuosa", la battaglia "non finisce qua": a partire "dall'appello che riproporremo all'Alta Corte" di Londra e dall'organizzazione di proteste di piazza.
"Non vi sbagliate - conclude l'avvocato sudafricana -, questo è sempre stato un caso politico, non legale. (Una vendetta per il fatto che) Julian ha pubblicato prove sui crimini di guerra, le torture, la corruzione di funzionari stranieri commessi dal Paese che sta cercando di farselo consegnare".
Quanto alla vicenda dei profughi che Londra vuole inviare in centri di accoglienza in Ruanda, alla Camera dei Comuni la ministra Patel ha definito "sorprendente" lo stop imposto dall'accoglimento di alcuni ricorsi in extremis da parte della Corte europea, dopo che la giustizia britannica ne aveva invece autorizzato la partenza in tre diversi gradi di giudizio.
Patel ha tuttavia affermato che la decisione dei giudici di Strasburgo (contro la cui "interferenza" hanno tuonato diversi deputati della maggioranza Tory) dispone solo un rinvio temporaneo e non sancisce come illegale il piano Ruanda, ribadendo che l'esecutivo sta quindi già lavorando per far partire in tempi brevi i prossimi voli in agenda, a dispetto degli "inevitabili ricorsi dell'ultimo minuto".
Non senza giustificarne la necessità sia per scoraggiare "la gang criminali" che gestiscono il traffico di clandestini attraverso la Manica, sia per garantire i diritti prioritari dei richiedenti asilo giunti legalmente.
La ministra ombra laburista Yvette Cooper ha viceversa accusato il governo di aver creato il caos con la sua "incompetenza", attraverso un piano che sapeva essere non solo "immorale", ma anche "irrealizzabile in pratica". Un'accusa che Patel ha respinto, pur evitando di rilanciare l'attacco diretto rivolto da Boris Johnson al Labour fra le proteste, durante il tradizionale Question Time, quando il premier ha detto che i laburisti "sono dalla parte dei trafficanti di esseri umani che mettono a rischio la vita della gente in mare, mentre noi siamo dalla parte di chi vuole venire qui in modo sicuro e legale".
Insomma, le turbolenze su questioni internazionali aggiungono ulteriori elementi di instabilità per l'esecutivo britannico, già più volte rimasto appeso a un filo su altri casi, a cominciare dallo scandalo dei party riservati organizzati in ambienti governativi, malgrado i divieti in vigore durante i lockdown per pandemia.