L'aspirante terrorista dell'Isis "provò" un attentato a Riva: preghiere, un petardo e la fuga. Indagine partita su segnalazione dell’FBI
Tante prove degli inquirenti per Mines Hodza, il giovane di origini kosovare: ha ammesso di essere simpatizzante dei movimenti islamici ed anche di aver voluto «provare» a fabbricare un ordigno con sostanze sottratte sul luogo di lavoro
TRENTO. Pregava tanto Mines Hodza. Pregava di essere supportato nei suoi intenti. Lo ha fatto anche prima di quella che gli investigatori hanno definito "prova" di attentato. È successo un mese fa: il giovane, diplomato all'Itt Buonarroti di Trento, prima di iniziare il turno serale in un laboratorio del Basso Trentino ha recitato le orazioni, preso l'auto e si è recato in centro a Riva del Garda dove ha esploso un petardo. Per poi “provare” una fuga in auto.
Nulla di che - si trattava di un "raudo" - ma l'azione è avvenuta seguendo una sorta di rito: prima le preghiere, con la richiesta che gli fosse concesso il coraggio, poi lo scoppio, quindi il ritorno in auto seguendo non il percorso più breve, ma facendo un giro strano, come per cercare di far perdere le proprie tracce; infine a casa la preghiera di ringraziamento, per poi recarsi al lavoro.
Dal laboratorio dove era impiegato avrebbe fatto sparire sia sostanze chimiche che strumenti. Come il "becher", un recipiente in vetro che è stato trovato dai carabinieri nel corso della perquisizione al deposito che il giovane aveva vicino a casa per nascondere i cosiddetti precursori, che servivano - secondo l'accusa - per costruire l'ordigno per un attentato che sarebbe potuto avvenire proprio in Trentino in estate.
Un attacco entro agosto, mese in cui il giovane e la fidanzata avevano intenzione di partire per la Nigeria per unirsi ai combattenti.
Mines Hodza, residente nella "Busa", 21 anni, cittadino italiano di origine kosovara, come disposto dalla gip di Rovereto Consuelo Pasquali si trova ai domiciliari presso la casa dei genitori, persone perfettamente integrate nel tessuto sociale; è indagata (sottoposta a fermo e subito rilasciato) la diciottenne, pure lei di origine kosovara, residente in provincia di Siena con la quale il giovane si è sposato con rito in moschea, un'unione non riconosciuta dallo Stato italiano.
L'accusa è di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, arruolamento ed addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale. Entrambi sono accusati di partecipare all'associazione terroristica internazionale "daesh" o "Stato islamico" e di aver aderito ideologicamente alla jihad.
Hodza in particolare avrebbe avuto una certa influenza sulla ragazza, agendo da "reclutatore" e "arruolandola" per compiere atti di violenti con finalità terroristica. La stessa giovane, come emerso dalle indagini, sarebbe stata anche disponibile al martirio in nome dello Stato islamico.
Ma come si è arrivati ad una tale soglia di radicalizzazione? Era il 2018 quando Mines Hodza, considerato dagli investigatori del Ros un "lupo solitario", iniziò ad interessarsi alla jihad. Ha riferito di essersi sentito solo in quel periodo e soprattutto non accettato dalle persone che lo circondavano, mentre entrando nel gruppo estremista aveva finalmente trovato qualcuno che gli diceva che era bravo. Ha confermato non solo di essere affiliato allo Stato islamico, ma anche di aver prestato giuramento e di aver sottratto le sostanze chimiche per fare un esperimento, per tentare proprio di confezionare il potente esplosivo Tatp, del tipo utilizzato negli attentati di matrice jihadista accaduti in Francia (compreso il Bataclan), in Spagna, a Bruxelles e al concerto di Ariana Grande a Manchester. E probabilmente sarebbe anche riuscito a preparare un ordigno potente, viste le sue conoscenze di chimica e la disponibilità delle sostanze.
Non l'ha fatto perché - ha detto - aveva paura, paura di fare male a se stesso e ad altre persone. Queste le sue dichiarazioni, a fronte delle accuse che lo descrivono come un "reclutatore" che si auto addestrava e apprendeva le tecniche militari e terroristiche attraverso canali social "nascosti", un affiliato, che in una chat ha manifestato il desiderio di lanciare una bomba nel Regno Unito.
In un'altra conversazione, questa volta via Skype, il giovane e l'interlocutore si sono presentati entrambi con il volto coperto da passamontagna e con il dito indice alzato, simbolo dei combattenti.
L'indagine dei carabinieri, partita nel febbraio 2022 su segnalazione dell'Fbi nell'ambito di un monitoraggio internazionale del terrorismo islamico, ha evidenziato l'accelerazione nel processo di radicalizzazione dell'indagato negli ultimi mesi. Lo scorso marzo, sempre via social, Hodza chiedeva informazioni su come fare "una torta", ossia un ordigno, e una copia del manuale di sopravvivenza dei combattenti.
C'era poi stato un cambiamento di look, con barba lunga e capelli rasati, l'acquisto di abbigliamento militare e l'inquietante episodio delle preghiere e del petardo.
Per il legale del giovane, l'avvocato Marcello Paiar, si tratta di una indagine "assolutamente giudiziaria" con ipotesi di reato che "non appaiono sorrette da adeguati riscontri probatori". Davanti alla giudice Hodza ha confermato di avere tutto per creare un ordigno, dalle conoscenze alle sostanze, ma ha sottolineato che non avrebbe mai fatto nulla. Una dissociazione nell'intenzione di voler predisporre un attentato che potrebbe significare la disponibilità del giovane ad una collaborazione utile a scardinare l'associazione terroristica.