Gli confiscano i gioielli ma sono della moglie: filmati e foto per comprovare la proprietà
L’uomo è stato condannato per associazione a delinquere, furto aggravato e ricettazione. Accolto il ricorso della donna. I beni erano suoi e dei figli prima dei fatti contestati
TRENTO. Al centro del contenzioso ci sono diversi gioielli e una cassetta di sicurezza alla quale avevano accesso moglie e marito. Non è il caso di Francesco Totti e di Ilary Blasi, con quest'ultima accusata dal (quasi ex) consorte di aver portato via la collezione di orologi e altri monili. La vicenda di cui si è occupato il tribunale di Trento riguarda la confisca di diversi gioielli - 25 oggetti preziosi secondo la documentazione - ad un uomo condannato per i reati di associazione a delinquere, furto aggravato e ricettazione.
A presentare istanza di revoca del provvedimento è la moglie, che evidenzia come sia stata tolta a lei ed ai figli la disponibilità dei beni senza che sia stato svolto alcun accertamento sulla provenienza dei gioielli e sul periodo in cui ne erano entrati in possesso: si tratterebbe infatti di regali, fra cui orologi, ricevuti da amici e da parenti in occasione di compleanni, battesimi e ricorrenze varie. La donna ha fornito documentazione specifica, attraverso filmati, fotografie dichiarazioni dei propri genitori, allegando anche un certificato di garanzia rilasciato dalla gioielleria in cui erano stati acquistati alcuni monili.
Si tratta di beni, come ha evidenziato, di proprietà sua e dei figli da quasi vent'anni, dal periodo 2003-2004 e dunque prima che avvenissero i fatti che hanno portato alla condanna del marito e alla confisca del contenuto della cassaforte, nell'ottobre 2018 dopo una perquisizione.
La richiesta di restituzione, e dunque di revoca del provvedimento, era stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari di Trento con ordinanza del 15 novembre 2021. La Cassazione, a cui la donna ha presentato ricorso, ha invece ritenuto che l'ordinanza debba essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio al gip.
Nel ricorso alla Corte Suprema la moglie, specificando che è sposata in regime di separazione dei beni, ha ricordato che sia lei che il marito avevano subito fornito documentazione per provare che quei gioielli erano nella loro disponibilità anni prima dei fatti contestati. Quei beni, dunque, non potevano essere di persone estranee e avere una provenienza illecita.
Tutto sarebbe avvenuto nella legalità e nella trasparenza secondo la donna, che ha lamentato «la mancata considerazione della documentazione prodotta per dimostrare che i beni sottoposti a confisca non erano di proprietà del condannato» e «l'omessa valutazione da parte del giudice rispetto ad ogni singolo bene di cui era stata chiesta la restituzione al legittimo proprietario a seguito della dimostrazione della lecita provenienza degli stessi».
Nella sentenza i giudici della Cassazione rilevano che, a fronte delle foto e delle dichiarazioni, «il giudice abbia ritenuto di decidere con una motivazione omnicomprensiva», basandosi in particolare sulla disponibilità delle chiavi della cassaforte da parte del soggetto condannato e sulla considerazione che i beni reclamati non avrebbero una "univoca connotazione di genere femminile" essendosi alcuni di uso maschile e altri "unisex".
Secondo la Corte, la motivazione del gip «non fornisce adeguato riscontro alle richieste dell'opponente specificatamente formulate limitandosi a considerazioni di carattere generale». Il ricorso è accolto. Ci sarà dunque un nuovo giudizio, come concluso dal procuratore generale e come disposto dalla Prima Sezione Penale della Corte.