Processo "Perfido", richieste pene pesanti in Tribunale a Trento
Si tratta del filone che riguarda due imputati, Morello e Denise: la sentenza è attesa il prossimo 19 dicembre. Sono venti le persone accusate nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nel tessuto economico trentino e in particolare nel settore delle cave
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TRENTO. Giornata importante, quella di ieri, 28 novembre, nel processo Perfido sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nella gestione delle cave di porfido in Trentino: nell'ambito del filone che vede coinvolti l'imprenditore Domenico Morello e l'operaio Pietro Denise, l'udienza in abbreviato ha vissuto la fase della requisitoria dei pubblici ministeri Licia Scagliarini e Davide Ognibene, che hanno richiesto per i due imputati pene pesanti.
La sentenza dovrebbe arrivare lunedì 19 dicembre.
Nel caso di Morello, una pena di tredici anni e quattro mesi, mentre per Denise sono stati chiesti dieci anni.
Ad entrambi viene contestata l'appartenenza ad una associazione a delinquere di stampo mafioso, reato che viene punito con pene dai 10 ai 15 anni.
Nel caso di Morello, viene contestata la posizione apicale nell'organizzazione, della quale gli inquirenti ritengono sia stato promotore e organizzatore. Per questo nei suoi confronti è stata richiesta una pena più severa rispetto a Pietro Denise, ritenuto partecipe dell'organizzazione: secondo la procura sarebbe stato colui al quale toccava il ruolo di custodire le armi di cui si sarebbe servita l'organizzazione per intimidire maestranze e non solo.
Gli inquirenti fino a questo punto non sono stati convinti dalle spiegazioni addotte dalle difese, che hanno avuto modo di esporle nuovamente oggi in tribunale a Trento. Qui gli avvocati difensori hanno ribadito l'estraneità dei loro assistiti.
Nel caso di Morello - la cui posizione era stata stralciata dal filone principale del processo nel febbraio scorso, assieme a quella di Pietro Denise in sede di richiesta dell'abbreviato condizionato all'ascolto di testimoni - lui stesso aveva parlato dell'esistenza di una semplice associazione culturale che nulla ha a che fare con la 'ndrangheta, ma la procura ha sempre ritenuto che, invece, mantenesse per conto della cosca facente capo a Innocenzo Macheda e insediatasi a Lona Lases, sia i rapporti con le cosche calabresi che con la malavita romana.
Nel caso di Denise la difesa ha sempre parlato di fraintendimenti nelle comunicazioni intercettate, mentre gli inquirenti ritengono l'operaio «partecipe del sodalizio», persona che «esegue le direttive del capo della cosca locale, fornendo supporto agli altri affiliati» e che «provvede alla manutenzione ed occultamento delle armi» oltre che «pronto a compiere azioni violente».
Ieri, dopo la requisitoria è stata la volta delle parti civili, che hanno formulato - o in qualche caso confermato quelle avanzate a gennaio - le richieste di risarcimento: Filca Cisl (rappresentata dall'avvocato Alessio Giovanazzi) e Fillea Cgil (con il legale Giovanni Guarini) hanno chiesto 50.000 ciascuna, così come 50.000 euro hanno chiesto i tre operai cinesi ridotti in schiavitù e rappresentati da Bonifacio Giudiceandrea, che ha sottolineato come l'unico a curarsi di loro sia stato Walter Ferrari con il Comitato lavoratori porfido, senza risparmiare critiche ai sindacati.
Il Comune di Lona Lases ha confermato la richiesta di 500.000 euro, mentre altre richieste risarcitorie sono arrivate dall'associazione Libera (100.000 euro), da Questotrentino e dalla Provincia di Trento.
Questo filone è parte di un processo che coinvolge venti persone, scaturito dall'inchiesta "Perfido" sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nel tessuto economico trentino e in particolare nel settore delle cave.
[foto: Alessio Coser]