Pensione dopo 59 anni per il re dei radiatori: “Il mio lavoro mi mancherà”
Guido Gianordoli oggi di anni ne ha 73 e per 59 ha messo le mani nei motori di migliaia di macchine - e non solo - di tutti i trentini. «Dal '63 fino al 1981 sono stato dipendente: in quegli anni ho imparato il mestiere, poi ho proseguito da solo». Non stiamo parlando di un meccanico, ma di un artigiano, un artista
TRENTO. Il re dei radiatori chiude la propria storica bottega. Un altro pezzo di città abbassa per sempre le serrande. Era il luglio del 1963 quando l'allora quattordicenne Guido Gianordoli entrava, quasi per caso, per la prima volta in officina per aggiuntare radiatori. Oggi di anni ne ha 73 e per 59 ha messo le mani nei motori di migliaia di macchine - e non solo - di tutti i trentini. «Dal '63 fino al 1981 sono stato dipendente: in quegli anni ho imparato il mestiere, poi ho proseguito da solo». Non stiamo parlando di un meccanico, ma di un artigiano, un artista.
«Prima di tutto servono gli occhi: guardo il radiatore e capisco cosa c'è da fare. Poi gli occhi posso anche chiuderli mentre faccio il lavoro, tanta è l'esperienza», sorride raccontandoci. Ma servono anche le mani d'oro, il cervello per sapere ogni dettaglio tecnico ed è necessario il cuore, perché un lavoro così non lo si fa per quasi sessanta anni senza una grande dose di passione. L'officina di Guido Gianordoli è in via Malvasia. E la location fa subito capire che l'addio al lavoro non è dettato dall'età, dalla mancanza di voglia o di stimoli.
«Qui verrà tutto abbattuto tra pochi mesi per la circonvallazione», ci dice. Ma non fa polemica: sospira. E pensa al lato positivo: «ci hanno detto che qui dovrebbe sorgere un grande parco, ci giocheranno i bambini, è una buona cosa». E, in fin dei conti, il destino ha voluto così: lui sarebbe andato avanti ancora, ma l'inizio dei lavori è stato "la scusa" per appendere il saldatore al chiodo. Parlando con lui la passione per il mestiere emerge con forza. Ci mostra alcuni radiatori, ci fa vedere le differenze, ci spiega il funzionamento, ci indica quali sono i problemi e i guasti tipici.
«Guarda questo radiatore. Sai di che macchina è?». Siamo titubanti, probabilmente faticheremmo a riconoscere l'auto anche se fosse lì intera, figuriamoci capire il modello da un singolo pezzo. «Ok, te lo dico: è di una Lincoln. Un pezzo storico. Devo sistemarlo per un cliente. E ci sono clienti che vogliono più bene alla propria automobile che alla propria moglie, quindi devo trattare bene questo radiatore, devo sistemarlo alla perfezione».
Gianordoli, dicevamo, è un artigiano. Se oggi i pezzi rotti o difettosi si ordinano, magari online, e poi si cambiano, buttando via quelli rotti, per lui non è così. «Fondamentalmente sono un saldatore professionista. Anzi, recentemente ho visto un annuncio in cui si cercavano giovani saldatori, quindi questa arte resiste ancora, pur essendo cambiata nel corso degli anni. Ecco, potrei essere un buon maestro per questi giovani». Entrando nella piccola officina, nascosta tra il traffico di via Brennero, le ville della collina e il quartiere di San Martino, si respira un'aria d'altri tempi, di antichi mestieri ormai quasi scomparsi. E Gianordoli ripercorre tutti gli anni vissuti lì dentro.
«Ora devo mollare. Da un lato devo ammettere che mi dispiace, non ero pronto a smettere. Però fino al 31 dicembre andrò avanti, ho ancora un po' di lavori da terminare. Ma inizio a chiedermi "poi cosa farò la mattina senza la mia officina e i miei radiatori?". Ho lavorato tanto nella mia vita, ma mi sono anche preso il tempo per viaggiare. E sono orgoglioso di essere riuscito a far laureare i miei figli: sistemare tanti radiatori è servito a farli studiare, ora hanno entrambi una bella carriera. Poi negli anni ho conosciuto e parlato con tutta la città: ci sono i clienti privati, ma anche concessionarie, officine e aziende che si rivolgevano a me. Ho sistemato macchine, auto d'epoca, trattori, camion. Ho già detto a tutti che a fine mese chiudo ed è bello che tanti mi abbiano detto di tenere duro, di andare avanti. Mi mancherà tutto questo, ma sono anche felice di quello che ho fatto».