L'Iran minaccia la stampa straniera e sulla repressione non arretra: "Nessuna pietà per le donne che rifiutano il velo"
La dittatura islamica degli ayatollah si scaglia contro i propri cittadini dissidenti (già oltre 500 i morti nelle manifestazioni) e attacca i giornali esteri, gravissime minacce contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo, che pubblica vignette contro la violenta teocrazia
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IN PIAZZA Anche il Trentino è al fianco dei manifestanti in Iran
VIDEO Manifestazione della comunità iraniana a Trento
Nessuna pietà per le donne che rifiutano di coprirsi il capo con il velo. Mentre da quasi quattro mesi le proteste anti governative scuotono l'Iran, il regime degli ayatollah non si appresta a fare passi indietro e anzi diventa sempre più rigido, malgrado le crescenti mobilitazioni internazionali contro la violenza di Stato. Varie iniziative per la libertà in Iran si sonon svolte anche in Trentino.
Fra le persone finite sotto accusa, ora, figura anche un cooperante belga, che il regime liberticida intenderebbe punire comne "spia". Anche sui giornalisti nel Paese la repressione è pesante.
La magistratura iraniana intanto ha ribadito l'ordine alla polizia di "punire con durezza e arrestare chi non rispetta la legge" sull'hijab obbligatorio in pubblico, entrata in vigore con la fondazione della Repubblica islamica nel 1979. Carcere fino a 10 anni, licenziamento, esilio, divieto di partecipazione alla vita politica e a lasciare il Paese sono solo alcune delle punizioni a cui vanno incontro le donne che si rifiutano di portare il velo in pubblico, norme già presenti nel codice penale islamico in vigore in Iran e che ieri la Magistratura ha deciso di sottolineare con fermezza attraverso dichiarazioni alla Tv di Stato da parte del vice procuratore Abdolsamad Khorramabadi.
Intanto, continuano anche le minacce contro chi all'estero critica la violenta dittatura islamica.
Alla vigilia di un nuovo numero di Charlie Hebdo con altre vignette satiriche contro il regime iraniano e la sua dura repressione, Teheran minaccia i responsabili del settimanale satirico francese, tristemente noto - anche - per essere stato decimato da un attentato jihadista nella sua redazione di Parigi nel 2015.
"Questi individui francesi pensino al destino di Salman Rushdie", ha detto il comandante delle Guardie rivoluzionarie, Hossein Salami, riferendosi alla sorte dell'autore dei Versetti Satanici, raggiunto negli anni '80 da una fatwa dell'ex Guida suprema Khomeini per aver offeso Maometto e accoltellato la scorsa estate a New York. Rushdie è sopravvissuto alle ferite, benché abbia perso un occhio e l'uso di una mano, ma la minaccia del capo dei Pasdaran è tutt'altro che velata.
Nonostante le proteste in corso nel Paese da quasi quattro mesi e l'indignazione e mobilitazione internazionale, il regime non ha alcuna intenzione di fare passi indietro nei confronti delle donne che rifiutano di coprirsi il capo con il velo.
Solo poche settimane fa si erano diffuse voci, poi smentite, riguardo ad una possibile abolizione della polizia morale, l'organo incaricato di vigilare sull'obbligo del velo che in settembre ha messo in custodia Mahsa Amini, la 22enne di origine curda fermata perché non portava il velo in modo corretto e che ha perso la vita per le percosse ricevute durante la detenzione.
L'indignazione scatenata dalla morte della giovane ha provocato l'ondata di proteste in tutto il Paese represse con forza dalle forze dell'ordine.
Secondo il rapporto dell'agenzia per gli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, negli scontri sono morte 519 persone e oltre 19mila manifestanti sono stati arrestati. La condanna alla pena capitale per quattro dimostranti incarcerati, tutti poco più che ventenni, è già stata eseguita.
L'ong Iran Human Rights, con sede a Oslo, ha denunciato che 109 tra gli arrestati rischiano la forca e che coloro che sono già stati condannati potrebbero essere mandati presto al patibolo. La maggior parte di loro ha tra i 20 e i 30 anni, alcuni sono minorenni, ma le persone che rischiano l'impiccagione potrebbero essere molte di più, fa sapere Iran Human Rights, perché le autorità di Teheran esercitano forti pressioni sulle famiglie dei condannati affinché non rendano pubbliche le loro vicende.
Raccontare le storie di chi ha ricevuto la pena capitale diventa sempre più difficile e i giornalisti che tentano di farlo rischiano di finire in prigione. Come è successo la scorsa settimana a Mehdi Beikoghli, reporter del quotidiano riformista Etamad che aveva pubblicato interviste con le famiglie di alcuni dimostranti condannati a morte e che oggi è stato rilasciato su cauzione dopo cinque giorni di carcere.
L'Iran resta comunque "il peggior carceriere di reporter al mondo", fa sapere l'ong Committee to Protect Journalists, con sede a New York, che ieri ha aggiornato il suo dossier sui giornalisti arrestati da quando sono esplose le manifestazioni in settembre denunciando la detenzione di almeno 88 persone.
Nel frattempo, la condanna internazionale per la situazione in Iran si fa sempre più decisa e, dopo che Usa e Unione europea hanno chiesto un immediato stop alle impiccagioni, oggi anche l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani Volker Turk ha denunciato che Teheran sta usando la pena di morte per incutere timore nella popolazione iraniana e reprimere il dissenso.