Legname, le imprese trentine: «È allarme bostrico, ci manca la materia prima»
La prima richiesta degli operatori riguarda piazzali per stoccare i tronchi tagliati. Ai Comuni si chiede meno burocrazia, quanto alla Provincia di Trento: «un vero coinvolgimento al tavolo del legno». Si è passati da 500 mila a 300 mila metri cubi assegnati
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TRENTO. Adesso, è allarme. Dopo Vaia e ancora più di Vaia, il bostrico rischia seriamente di compromettere la capacità di tenuta della filiera del legno. Parlano gli operatori, dai boscaioli alle segherie, e di valle in valle, da Fiemme a Ledro, la preoccupazione è la stessa: manca materia prima.
Non ora, ma presto. I prossimi anni saranno durissimi da scavallare. E anche lo scenario più a lungo termine mette angoscia. Dice Luigi Sartori, della Sartorilegno, grossa azienda di Fondo, che produce pallets e bancali: «La mancanza di legname, purtroppo, non dura solo 6-7 anni, perché il bosco ne impiegherà 60-70 a riprodursi». Paolo Sandri, di Castel Ivano, presiede l'Associazione delle imprese boschive del Trentino, e mette lì due cifre che dicono tutto: «In passato, prima di Vaia (fine ottobre 2018, ndr), la ripresa annua era superiore ai 500 mila m3, in futuro sarà, bene che vada, di 300 mila».
L'impatto del bostrico. La Provincia (servizio foreste) fornisce in queste settimane i dati dell'emergenza bostrico, incontrando gli amministratori, territorio per territorio, illustrando un piano di azione (esbosco, no assegnazioni di legname fresco, interventi di recupero, etc) che però non basta a ridare tranquillità al settore. Il rilievo dei danni (vedi tabella) indica che gli ettari di bosco colpiti dall'insetto che secca gli abeti rossi erano 281,65 nel 2019, l'anno successivo a Vaia, e sono diventati 4.254,05 nel 2022. In quattro anni, quasi 9 mila ettari danneggiati.
In volume, nel 2022, il bostrico, che alte temperature e siccità aiutano, si è "divorato" 861.110 metri cubi, il doppio della ripresa pre Vaia (436.472 m3). Le assegnazioni per il taglio sono salite a 749.256 metri cubi nel 2021 di cui il 47,7% di piante colpite dal bostrico. Nel 2022, la percentuale è arrivata al 65,7% (733.956 metri cubi danneggiati sui 1.116.499 totali assegnati). Nelle foreste demaniali si è arrivati al 91,6%, nel distretto di Borgo Valsugana all'80,2%.
La forbice che stringe il settore. Dopo Vaia, con un'enorme quantità di schianti da lavorare, il settore trentino si è rafforzato, e con un mercato che tirava le aziende hanno aumentato la capacità produttiva. «La maggior parte delle segherie ha fatto investimenti» spiega Matteo Daprà che presiede le aziende della filiera del legno presso Assoartigiani del Trentino.
«Un periodo d'oro, mai visto» riconosce Luigi Sartori. La capacità di lavorazione del tondo era di 700 mila metri cubi prima di Vaia, è salita a 952 mila nel 2021 e ora, dicono Daprà e colleghi, è arrivata a 1,2 milioni di metri cubi. Tanto che è necessario importare semilavorati dall'estero e, in parte (15%), da altre regioni: import per 416 mila m3 nel 2021.
Ecco la forbice che spiazza l'intera filiera: da una parte, l'aumento della capacità produttiva; dall'altro, la mancanza di materia prima. Non manca, per gli imballagisti, che intanto si ritrovano una gran quantità di legname bostricato a disposizione. «Sono invece in difficoltà già da due anni» dice Daprà «le imprese di segagione che trasformano il legno tondo». In Trentino, sono censite 126 aziende delle prime lavorazioni del legno, con poco meno di 1.400 addetti: il 44% sono produttori di imballaggi, il 41% imprese di segagione, il 15% imprese di imballaggio.
Lucio Varesco, della Varesco Legno di Tesero, allarga lo sguardo: «Sorgono anche problemi idrogeologici, se manca il bosco a protezione dei pendii, con gravi danni anche al settore turistico e minori entrate per i comuni. Ma il problema maggiore sarà la mancanza di disponibilità di tronchi nei prossimi anni, con gravi danni su tutta la filiera: agenti, forestali, boscaioli, segherie, centrali a biomassa, autotrasportatori.
In Fiemme e in val Cadino, prima di Vaia, c'erano 95 mila metri cubi di ripresa, ora arriviamo a 20 mila: il bosco è più marrone che verde». Non consola, anzi aumenta la preoccupazione, che la mancanza di materia prima riguarda anche altri Paesi. Spiega Sartori: «Francia, Germania, Austria sono state colpite da eventi più forti di Vaia e hanno visto ridursi la capacità boschiva. Le segherie tedesche, prive di foresta, hanno cominciato a ridurre la produzione e delocalizzano, rilevando impianti nel nord America e nel Nord Europa, dove c'è materia prima».
Le proposte degli operatori. Che fare, di fronte a questo scenario da incubo che il cambiamento climatico aggrava? «La prima cosa da fare, con urgenza» risponde Varesco «è conservare in loco il massimo possibile dei tronchi che saranno tagliati nei prossimi due anni: bisogna pensare a grandi cataste in piazzali all'ombra e umidi per poter poi usare il legname tra 3-5 anni, ancora in buono stato».
La seconda: tagliare di più. Prima di Vaia, il volume assegnato era di 540 mila m3, a fronte di 1 milione di m3 di incremento annuo di massa legnosa. Quindi, dicono Daprà e colleghi, c'è margine. «Anche perché» dice Sartori «in Trentino c'è bosco vecchio che frutta poco. E le piante vecchie sono un monumento morto che non cattura CO2. Si può tagliare di più, per poi calare di nuovo quando il bosco si riprende».
Terzo: non colpevolizzare l'abete rosso perché più debole. «Attenzione alla riforestazione con piante che non hanno mercato» dice Nicola Casolla (Val di Ledro). «Nelle politiche di riforestazione» aggiunge Daprà «è opportuno coinvolgere l'intera filiera».
Quinta proposta: il modello Toscana. «In Toscana» esemplifica Sartori «le imprese sono responsabilizzate. I boscaioli e le segherie sono coinvolti nel rimboschimento, fanno un'assicurazione per garantire i reimpianti». Sesto: un accordo con Veneto. «In Veneto» dice Daprà «c'è tanta disponibilità di legname, sui cui ha messo gli occhi l'Austria, ma ci sono poche segherie. Ci vorrebbe un accordo politico con la Regione».Infine, i rapporti con la Provincia e i Comuni: «Meno burocrazia» invoca Sandri: «Ci sono lotti fermi 6-12 mesi per metterli all'asta, col bostrico che intanto colpisce. Sarebbe utile che il Consorzio dei comuni dicesse qualcosa».
Quanto alla Provincia, il tema è il tavolo del legno: «È un tavolo in cui la Provincia ci aggiorna sull'andamento. Ci vorrebbe invece un coinvolgimento vero. Un tavolo tecnico, con gli operatori economici. Se ci fosse stato, forse non avremmo, oggi, il problema del reperimento delle piantine per i reimpianti. Un tavolo» propone Sartori «che programma il bosco per i prossimi cento anni».