Gli allevatori trentini: "Le nostre aziende non sono stabilimenti inquinanti"
Preoccupa la scelta dell’Europa che impone una stretta agli allevamenti bovini. Giacomo Broch: "Nel nostro territorio lavoriamo sull’economia circolare». Dal Primiero, il letame finisce tra le vigne del Prosecco. Quello prodotto dalle stalle di Ledro è concime per il mais di Storo
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TRENTO. «Certo che c'è preoccupazione. Se l'Europa intende far sparire la zootecnia di montagna...». Giacomo Broch è il presidente della Federazione provinciale allevatori, titolare di azienda zootecnica a Passo Cereda, allevamento di bovini.
Sta seguendo con apprensione, come tutti i colleghi allevatori, le decisioni di Bruxelles: è passata la scelta di ricomprendere gli allevamenti bovini nell'elenco delle attività inquinanti. A nulla è servito il voto contrario dell'Italia, la contrarietà dei ministri Pichetto Fratin (Ambiente) e Lollobrigida (Agricoltura). Il testo passerà ora al vaglio dell'Europarlamento, e la speranza è che sia modificato.
Presidente Broch, da dove deriva la preoccupazione?
«Parlano di allevamenti zootecnici inquinanti e impattanti. Ci possono essere situazioni di questo tipo. Ma in Trentino no, non è così. Auspico che in Europa, prima della decisione definitiva, si facciano un giro da queste parti».
Dov'è il vulnus?
«Nel fatto di essere paragonati ad una stabilimento industriale. Io mi alzo presto, al mattino, per andare in stalla, non in uno stabilimento! Se continuano a creare difficoltà su difficoltà, tra dieci anni la zootecnia di montagna sparirà: un danno per tutti. Anche per l'Europa».
Quante sono, oggi, le aziende zootecniche in Trentino?
«Settecento-settecentocinquanta, quelle di chi fa l'allevatore di professione. Poi ci sono gli hobbisti...».
Quante le grandi stalle?
«Quelle di una certa dimensione sono sulle dita di una mano».
In Lomaso, Valsugana, Alta Val di Non…
«Sì, ma attenzione. Nel Lomaso ci sono stalle da cento e più vacche, ma hanno a disposizione un territorio enorme, grandi superfici da lavorare: non c'è problema».
Per dire che il tema degli inquinanti è risolto?
«Osservo che le dimensioni sono soprattutto medio-piccole. In Primiero, ci sono 40 stalle, da 15, 20, 25 vacche, su un territorio però piccolo. Se ce ne fossero tre da cento vacche, allora sì sarebbe un problema. C'è da migliorare? Certo che sì. Sempre. Ma sia chiaro che la stragrande maggioranza sono aziende medio-piccole, che vivono sul territorio, non industrie».
Il problema sono i reflui…
«Sì, ma sfatiamo il problema. I reflui di stalla sono concime! Se una stalla non è in mezzo a un meleto, non è un problema. Conta l'approccio alla base».
Vale a dire?
«Dobbiamo spingere per l'economia circolare. Dove c'è grande produzione di liquami e letame, questa produzione va sfruttata per le vigne, i meleti, l'agricoltura come concime».
In Primiero come vi arrangiate avendo poche superfici nel fondovalle?
«Da due, tre anni una buona parte del letame viene portata nel Trevigiano, nella zona del Prosecco, dove c'è richiesta visto che lì hanno chiuso parecchie stalle, che non riapriranno più».
Esportate letame "tal e quale"?
«Per ora, sì. Ma stiamo studiando un sistema di trattamento per farlo prima maturare. Anche il Val di Ledro c'è un bell'esempio di economia circolare».
Come funziona?
«Le aziende zootecniche avevano due problemi: poco terreno a disposizione e presenza del lago, il primo, delicato punto a rischio inquinamento. Da anni è stato trovato un accordo, tra Comuni, allevatori e Agri 90, così una parte viene smaltita nella zona di Storo, diventa concime per il mais. E per il trattamento del letame vengono usate delle macchine per la maturazione accelerata del prodotto depositato nei campi, con la supervisione della Fondazione Mach: è un prodotto di altissima qualità. Una parte viene utilizzata anche per l'agricoltura dell'Alto Garda, meli, viti, olivi. Questi modelli di economia circolare in Trentino dovrebbero essere conosciuti a Bruxelles».
A parte gli odori, l'impatto sulla biodiversità del prato è innegabile.
«Chiaro che il letame di stalla non va usato subito, serve un periodo di maturazione. Ma più che parlare di produzione di inquinamento, si parli di opportunità, creando un circuito tra chi lo produce e chi lo valorizza».
Anche con i biodigestori per la produzione del biogas... Funzionano?
«Ce ne sono tre di collettivi, modello caseificio: a Predazzo, Romeno e Villa Agnedo. Poi ce sono di realizzati o in costruzione da parte di singoli privati. Io credo molto nel sistema collettivo: è una risposta sul piano economico e permette di avere uno sbocco, sia al grande che al piccolo allevatore. I biodigestori sono onerosi, ma valorizzano la zootecnia».
Si è fermata la chiusura delle stalle?
«Sì, anche se i prezzi degli alimenti e dell'energia sono rimasti alti. I giovani che hanno investito, non possono permettersi di chiudere una stalla. Il problema è come valorizzare il latte e i suoi prodotti. Un bicchiere di latte vale circa 14 centesimi, uno di vino, non di grande qualità, ne vale 80. In Trentino dobbiamo riuscire a valorizzare il latte come si fa col vino».