Il presidente degli Alpini trentini: “La naja deve essere obbligatoria". Vota il sondaggio
Il presidente Frizzi conferma la necessità di un servizio obbligatorio: «Il 60% dei nostri iscritti ha più di 60 anni, solo l'1% meno di quaranta. Quando tra dieci anni ci sarà una nuova grave emergenza, chi mandiamo? I settantenni e gli ottantenni? Oppure affidiamo i soccorsi ai privati? La risposta deve arrivare dallo Stato»
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TRENTO. Il ripristino di un servizio di leva obbligatorio non è più un tabù, è una necessità. Non per formare i giovani all'uso delle armi, ma ad operazioni di protezione civile, con uno spirito di servizio alla comunità. Non basta la "mini-naja" di quaranta giorni, servono sei mesi di preparazione».
Il presidente dell'Associazione Nazionale Alpini del Trentino, Paolo Frizzi, riflette sull'ipotesi di un ripristino della "naja", di cui la politica torna a parlare. Per ora i contorni sono fumosi: la premier Giorgia Meloni pensa ad una leva non obbligatoria da affiancare al servizio civile, il presidente del Senato Ignazio La Russa propone la mini-naja di quaranta giorni, il ministro della difesa Guido Crosetto ipotizza una riserva addestrata di civili sul modello tedesco (per altro già approvata dallo scorso Parlamento ad agosto 2022).
Il presidente Frizzi conferma la necessità di un servizio obbligatorio: «Il 60% dei nostri iscritti ha più di 60 anni, solo l'1% meno di quaranta. Quando tra dieci anni ci sarà una nuova grave emergenza, chi mandiamo? I settantenni e gli ottantenni? Oppure affidiamo i soccorsi ai privati? La risposta deve arrivare dallo Stato».
Naja obbligatoria, sei favorevole oppure no?
Presidente Frizzi, qual è la vostra posizione sul ritorno del servizio di leva?
«L'Ana è impegnata nella promozione di un progetto di legge che introduca il servizio ausiliario obbligatorio. L'elemento dell'obbligatorietà va previsto, perché se puramente volontario il servizio rimarrebbe legato ad una discrezionalità che rischia di non portare numeri importanti. Il progetto di legge era già stato promosso al tempo dei governi di centrosinistra, con i ministri della difesa Roberta Pinotti e Guerini che si erano detti interessati. Ma quello che proponiamo non ha nulla a che vedere con la vecchia naja».
In che modo si distingue?
«Non abbiamo bisogno di formare i giovani all'uso delle armi. Ciò che serve è formare i ragazzi e le ragazze ad operazioni di protezione civile. La nostra protezione civile è ammirata in tutto il mondo e si fonda sul volontariato. Ma tante associazioni soffrono dell'invecchiamento degli operatori: vale anche per gli Alpini, dove il 60% degli aderenti ha più di sessant'anni. Invito ad immaginare cosa succederà se tra dieci anni ci sarà una grave emergenza, come un terremoto: chi chiamiamo a fare da protezione civile, i settantenni e gli ottantenni? I gruppi aggregati che sostengono Ana, come gli Amici degli Alpini, sono preziosi ma non bastano. Manca ai giovani un'esperienza gerarchizzata, dove trovino occasioni per sperimentarsi. E un simile percorso deve essere strutturato dallo Stato».
Vede un rischio di privatizzazione della gestione delle emergenze?
«È proprio lì che ci vogliono portare. La riforma del terzo settore va in quella direzione: si chiede ai volontari di professionalizzarsi, ma come fanno? Devono pagarsi di tasca propria i corsi antincendio, di primo soccorso? È lo Stato che deve intervenire per dare queste occasioni. La miopia di chi ha governato ha portato al rischio che l'intero sistema della gestione delle emergenze entri in crisi, come si è visto nel corso della pandemia».
Il presidente La Russa ipotizza una "mini-naja" di quaranta giorni. Bastano?
«Non sono d'accordo con il presidente La Russa, quaranta giorni non bastano, il rischio è che non si raggiunga l'obiettivo di formare l'operatore. Quaranta giorni equivalgono al vecchio CAR, campo addestramento reclute, possono bastare a dare solo una prima idea. Per noi il servizio ausiliario obbligatorio dovrebbe durare sei mesi, tanto serve per formare adeguatamente i volontari».
Sembra una richiesta piuttosto condivisa dalla popolazione. Che percezione ha?
«C'è una forte pressione dell'opinione pubblica in quella direzione. Il ripristino di un servizio obbligatorio non è più un tabù, è una necessità. E se ne sono resi conto anche i suoi detrattori. I più tiepidi sembrano essere i giovani, ma è comprensibile, anche noi non sempre andavamo volentieri alla naja. Ma l'obiettivo non è quello di avviare i giovani alla carriera militare, ma diffondere lo spirito di servizio verso la comunità».