Il detenuto si lamenta perché la cella è troppo piccola, ricorso respinto: “Non è una dimora privata”
L'uomo è passato per il carcere di Trento, oltre ad essere stato per un periodo a Verona, poi Pordenone e, per ben tre anni, a Padova. L'ultimo suo ricorso è stato presentato in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Venezia che ha dichiarato inammissibile una sua nuova richiesta di valutazione delle condizioni di detenzione
TRENTO. Le celle in cui ha trascorso un lungo periodo di detenzione erano troppo piccole: è quanto ritiene un sessantenne veneto, che si è rivolto a più riprese al magistrato di sorveglianza per denunciare il «trattamento inumano e degradante», in violazione di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ed in particolare dall'articolo 3, che impone allo Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni detenuto siano compatibili con il rispetto della dignità umana. Ma i suoi appelli e i suoi ricorsi non hanno portato a nulla.
L'uomo è passato per il carcere di Trento, oltre ad essere stato per un periodo a Verona, poi Pordenone e, per ben tre anni, a Padova. L'ultimo suo ricorso è stato presentato in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Venezia che ha dichiarato inammissibile una sua nuova richiesta di valutazione delle condizioni di detenzione. L'uomo, in particolare, evidenziava che non era mai stato rispettato - nelle carceri in cui aveva vissuto per periodi più o meno lunghi - il parametro dei tre metri quadri come spazio minimo vitale.
Per stabilire se si possa parlare di trattamento inumano o degradante devono essere esaminati vari aspetti, come la Suprema Corte di Cassazione ricorda: dalla possibilità di fruizione dei servizi igienici all'accesso alla luce e all'aria naturali, dalla qualità del riscaldamento al rispetto delle esigenze sanitarie. Tuttavia vige il principio per cui non tutte le violazioni automaticamente indicano che vi sia una condizione inumana e degradante. Il conteggio dei metri quadri, ad esempio, è un parametro, non l'unico.
Di fronte a orientamenti differenti, le Sezioni Unite della Cassazione affermano (con sentenza 6551/2021) il principio per cui i tre metri quadri devono assicurare il normale movimento «e pertanto vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello», che occupando spazio in verticale assumono quindi la struttura di una parete, di un ostacolo fisso. Lo spazio occupato dal letto singolo invece non va decurtato dalla superficie della cella, in quanto non ostacola completamente i movimenti della persona.
Attenzione, però: per movimento non si intende fare sport o tutto ciò che vuole, «bensì solo i movimenti destinati agli scopi più ricorrenti di una persona in stato di detenzione», come specifica la Cassazione in merito al ricorso del sessantenne veneto. La Corte europea dei diritti dell'uomo afferma che il calcolo della superficie disponibile nella cella, ossia tre metri quadri, deve includere lo spazio occupato da mobili che però non impediscono il movimento del corpo e degli arti, come la sedia che, ad esempio, può essere spostata.
Per le Sezioni Unite, vanno esclusi da questo calcolo gli arredi fissi che, per le loro caratteristiche, possono essere equiparati a pareti, proprio come il letto a castello. Differente è la valutazione del letto singolo che, come un armadietto o un comodino, consente, almeno in parte, i movimenti del detenuto. La Cassazione, Sezione 1 penale, rigettando il ricorso del detenuto, specifica che «il giudice non deve avere come paradigma il movimento di una persona libera nella stanza di una comune abitazione».
«La cella - questo è il ragionamento degli Ermellini, riportato nella sentenza depositata nei giorni scorsi - non è un luogo di privata dimora e presenta ovviamente caratteristiche diverse, determinate dalla necessaria limitazione della libertà personale di movimento che è insita nella stessa sanzione detentiva (...) Infatti, la cella carceraria non rileva come "luogo di privata dimora" del detenuto, e va considerata in modo complementare alle altre parti dell'istituto penitenziario destinate allo svolgimento della vita di relazione della popolazione carceraria e del personale di custodia».