Inchieste, volgarità e incompatibilità, tutti i guai di Vittorio Sgarbi prima delle dimissioni
Getta la spugna per evitare l’onta di vedersi dichiarare incompatibile in Parlamento, il procedimento è stato originato dal «suo» ministro dopo una serie di lettere anonime
ROMA. Arguto, esuberante, competente, provocatorio fino all'eccesso. Quando si pensa a Vittorio Sgarbi è difficile trovare un aggettivo che lo definisca nella sua sfaccettata e complessa personalità. Anche in questa sua ultima battaglia in cui ha provato fino alla fine a difendersi dalle indagini, della procura e dell'Antitrust, e dalle inchieste giornalistiche, ha mostrato i denti fino alla fine. Ma il verdetto da parte del Garante era apparso sin dall'inizio marciare verso una possibile condanna.
Sgarbi era stato infatti segnalato nello scorso autunno all'Autorità dal ministro Sangiuliano e l'organismo aveva aperto un procedimento per l'incompatibilità di alcune sue attività, a capo di fondazioni e musei, ma per lo più di conferenziere, con il suo incarico.
L'atto, originato da alcune lettere anonime, sembrava avere un percorso segnato, visto che da subito l'Autorità aveva ravvisato che "dalle prime evidenze" emergevano "elementi" che lo ponevano in contrasto con i dettami della legge Frattini sul conflitto di interessi.
"Le mie attività sono un esercizio legittimo del diritto d'autore" si è difeso il critico che ora, però, ha gettato la spugna: l'indicazione dall'Antitrust "è arrivata, si può impugnare, ma è arrivata. A questo punto mi tolgo di scena".
Non bastasse, ci sono le inchieste giornalistiche del Fatto Quotidiano e di Report, contro cui, per altro, Sgarbi, tra gli insulti, ha dato in escandescenza rasentando gesti osceni.
E poi ci sono le indagini giudiziarie. I fronti su cui è al centro delle inchieste sono tanti: l'ultimo quello di aver approfittato dell'indigenza di una persona per acquistare a poco, e poi esportato, un Valentin de Boulogne che il critico afferma invece essere una copia.
C'è poi la disputa attorno ad un dipinto rubato di Rutilio Manetti, per il quale è indagato per riciclaggio, e quella attorno ad alcuni quadri di grandissimo valore, e quindi che dovevano essere vincolati, della collezione Agnelli. Tutte "menzogne" si difende Sgarbi che minaccia un giorno sì e l'altro pure richieste di risarcimento danni milionarie ai giornalisti. Ma i casi montano e l'opposizione, dopo averne chiesto conto al governo in Parlamento, arriva a chiederne le dimissioni con un atto di sfiducia, la cui discussione è stata però spostata al 15 febbraio.
"Si nascondono per sperare nel pronunciamento dell'Antitrust e sfuggire al giudizio politico" attacca il M5s. Sempre polemico, e "scoperto" in questa sua abilità da Maurizio Costanzo nel suo show, l'allontanamento dalla scena sembra essere una sua costante. È riuscito perfino a farsi espellere dalla "Pupa e il secchione” per un'accesa lite con Alessandra Mussolini. E non è neppure la prima volta che il noto critico d'arte, prestato alla politica, deve fare un passo indietro dal governo; già nel 2002 al termine di un feroce scontro con l'allora ministro della Cultura, Giuliano Urbani, la sua esperienza da sottosegretario finì precocemente. In quella occasione venne addirittura "revocato" con un provvedimento del Consiglio dei ministri, guidato allora da Silvio Berlusconi.
Il casus belli furono i diversi punti di vista sull'alienabilità di beni dello stato, anche artistici, questione sulla quale il critico aveva chiesto per primo l'allontanamento del suo ministro.
Tra loro, come nel caso ora di Sangiuliano, non correva buon sangue. L'allora ministro, facendosi "scudo" del giudizio espresso da un altro eccentrico critico d'arte come Federico Zeri, diede a Sgarbi del "narcisista, presuntuoso, impreparato, superficiale". Già allora, d'altra parte, erano state anche le sue intemperanze ad averlo messo all'angolo: come l'abitudine di far aprire fuori orario, anche di notte, i musei per visitarli con i suoi amici. Anche allora, provocatorio, si giustificava: "opera di controllo verso i musei pubblici", riporta un'interrogazione parlamentare in cui si chiedeva conto di questo comportamento. (ANSA)