La prof infortunata fa lezione all'allieva: dal letto del Santa Chiara (tutte e due ricoverate)
Una storia incredibile: l’insegnante (Michela Barazza, del Tambosi) infortunata in pista, scopre che l’alunna è nello stesso ospedale, e che ha bisogno di ripetizioni: taaaaaac
TRENTO. Ci sono pirati della strada e ci sono pirati delle piste da sci. Ci sono malati che si scoraggiano ed entrano in crisi e ci sono malati che sfruttano - avendone la possibilità - il tempo della degenza per fare comunque azioni di volontariato. E in questo periodo a Trento il volontariato ha una risonanza particolare. Pur piccola, la storia a sostegno di queste considerazioni, va raccontata.
Sulle piste da sci di Marilleva, sabato 13 gennaio intorno a mezzogiorno, Michela Barazza, moglie di Pietro Acler, (noti abitanti di Cognola) sta sciando divertendosi con la sua amica. Uno sciatore o sciatrice - per ora non è stato identificato il soggetto - arrivando da sinistra taglia la strada in velocità a Michela e fugge lasciandola a terra.
Allertati, arrivano i soccorritori addetti alle piste e la sfortunata, dolorante, viene "impacchettata" e trasportata prima all'ospedale di Cles, dove una prima visita rivela tre fratture di cui due scomposte - ischio, ileo a destra - e clavicola sinistra ma successivamente, trasferita all'ospedale Santa Chiara di Trento, si scopre anche la frattura dell'osso sacro nella parte sinistra.
Per farla breve, senza nulla togliere al dolore che si prova in queste situazioni e alla rabbia che ne segue verso un «pirata delle piste», quattro ossa rotte e addirittura un'operazione delicata in tre parti del bacino eseguita dal primario di ortopedia Luigi Branca Vergano.
Una degenza di due settimane e, a seguire, la convalescenza in tempi non ancora definibili assistita dai suoi sette nipotini.
Fino a qui niente di particolare, si dirà. Senonché Michela, oltre ad essere un'educatrice e volontaria nella comunità, nella vita lavorativa è docente di matematica all'Istituto "Tambosi" di Trento. Superati i primi giorni di sofferenza, viene a sapere che la sua alunna J.K. è pure ricoverata da qualche settimana all'ospedale in un reparto diverso dal suo.
Qualche difficoltà in matematica, non avendo seguito le lezioni, e la lunga degenza preoccupava la studentessa tant'è che la professoressa Michela l'ha invitata a delle ripetizioni sostituendo la cattedra con il letto suscitando naturalmente l'ammirazione dei sanitari, ma soprattutto delle colleghe e dei colleghi insegnanti e del dirigente Andrea Bezzi del Tambosi che ci ha tenuto a dire «Bravissime tutte due! E buon lavoro».
Però non sono le lodi "sei mitica, sei unica, chi te lo fa fare" pervenute da varie parti a stimolare l'insegnante degente con le ossa rotte bensì lo spirito di volontariato che la anima nella vita quotidiana.
Il volontariato, - definito dal presidente Mattarella a Trento - come "dono", come "prendersi cura dell'altro, è la "cultura della cura". «Cura significa, tra l'altro, - per il presidente - passione educativa, capacità di includere chi è ai margini, significa dare una mano a chi non ce la fa perché possa riprendere il cammino...». Una storia piccola, ma che lancia messaggi con contenuti opposti.
Da una parte un pirata dello sci decisamente incivile che se l'è svignata davanti alle proprie responsabilità e dall'altra lo spirito di servizio volontario profuso da un letto di ospedale.