Lorenzo Arnoldi in pensione, dopo 26 anni da direttore delle Farmacie Comunali: l'intervista
Dalla nascita della società, osteggiata da Unifarm, all’attacco dei grandi gruppi privati di oggi, che «portano via» i farmacisti: «Ora mi dedico alla Filarmonica». E dice: "Il Covid ci ha tirato la volata. Ma anche prima c’erano dividendi significativi. La sfida, per la nuova direzione, è confermare questi risultati. Per me, era giusto finire qui"
TRENTO. Adesso, Lorenzo Arnoldi avrà più tempo da dedicare alle sue passioni: il suo Steinway & Sons a coda e la Società Filarmonica Trento di cui è presidente. Dal primo gennaio, Arnoldi ha lasciato la direzione di Farmacie Comunali spa. Famiglia di musicisti di origine cremonesi (il nonno arrivò in Trentino per fondare la banda di Fondo), Arnoldi è in pensione, dopo un quarto di secolo alla guida della spa che ha in gestione venti farmacie e un dispensario.
Dottor Arnoldi, com’è cominciata l’avventura da manager?
«È nata dalla passione che mi ha condizionato gli studi. Avrei voluto fare ingegneria. Ma dopo il classico ero al settimo anno di pianoforte. Avevo davanti l’esame-barriera dell’ottavo anno. E scelsi economia per stare a Trento. Col diploma di pianoforte ho insegnato musica alle medie per 4-5 anni, tre alle “Pasi”, a Villazzano 3, dove dovetti noleggiarmi il piano. Ragazzi vivaci, Una esperienza bellissima. Mi fermano ancora per strada...».
E dopo la laurea in economia politica?
«Alcuni anni con lo studio Cedea. Tenevo la contabilità per commercianti e piccole ditte. Anni ’83, ’84, ’85... C’erano i primi computer, costosissimi. Il primo utilizzo dell’informatica per le piccole aziende. Ma fare il commercialista non era il mio mestiere. Seppi casualmente che l’Azienda farmaceutica municipalizzata cercava un controller, per avviare un sistema di controllo e di gestione».
Da lì parte l’avventura?
«Sì. Sostenni il colloquio, fui assunto. Presidente era Gino Decarli, direttore Giorgio Tufariello. Allora, il direttore doveva essere un farmacista. Per dieci anni (’87-’97) sono stato responsabile amministrativo. Sono diventato direttore generale nel 1998».
Ci fu, allora, un feroce confronto sul tentativo di privatizzare le farmacie comunali. In consiglio comunale, una parte della Dc, lo voleva. Il destino era finire in Unifarm...
«C’era l’onda delle privatizzzioni. Tufariello, che veniva da Bologna, avviò un modello pubblico dirompente, con un progetto di magazzino all’ingrosso (doveva essere realizzato in via Fermi) per fornire farmaci non solo alle nostre farmacie, ma anche all’ospedale. Unifarm ci dichiarò guerra, non tollerava la concorrenza, ci sospese le forniture e, per anni, fummo costretti a rifornirci a Bologna dei medicinali non disponibili: un pacco che arrivava ogni mattina alle 6 in stazione».
Anche la trasformazione in spa fu contestata...
«Sì, fu costituita con 21 farmacisti soci, più il Comune di Trento, grazie alla volontà dell’assessore Franco Grasselli. Ci spararono addosso ad alzo zero, Fecero ricorso l’Ordine dei farmacisti, i titolari di farmacia, l’Unifarm. Ma uscirono sconfitti. Poi, fu fatta pace. Noi riducemmo all’osso il nostro magazzino. Unifarm, oggi, fornisce l’80% del nostro fabbisogno. Ne siamo soci. Ma la spinta di Farmacie Comunali sugli sconti e l’educazione sanitaria ha fatto crescere la qualità del servizio anche delle farmacie private. I “nemici”, oggi, sono altri...».
Quali?
«I corner farmaceutici nei supermercati, le parafarmacie, l’ingresso dei capitali nel mercato del farmaco».
Quale realtà lascia?
«Una spa inhouse interamente pubblica, con 20 farmacie, 11 Comuni soci, passata dai 66 dipendenti del ’98 alla novantina di oggi, di cui 60 farmacisti. Il valore della produzione è passato da 8 a 24,5 milioni di euro. I dividendi distribuiti ai Comuni nel ’99 erano 118 mila euro, nel 2022 sono stati pari a 1,192 milioni. In valore, in 25 anni, ai Comuni soci sono arrivati 17 milioni: 5 di patrimonio netto, raddoppiato, 12 di dividendi».
E la prospettiva?
«Negli ultimi anni, il Covid ci ha tirato la volata. Ma anche prima c’erano dividendi significativi. La sfida, per la nuova direzione, è confermare questi risultati. Per me, era giusto finire qui».
Anche Farmacie Comunali spa ha difficoltà a trovare farmacisti?
«Certo, come tutte le professioni sanitarie. Farmacia non è una facoltà tra le più gettonate, sono cambiate le aspettative ed il mercato si è fatto più aggressivo. Il network di farmacie Hippocrates ha rilevato farmacie anche in Trentino, come Civezzano e Calliano, e corteggia anche i nostri farmacisti».
Ve ne ha portati via?
«Sì, tre, quattro. Con forti incentivi retributivi. Sono dinamiche finanziarie. I farmacisti che hanno venduto a questi network si sono trovati davanti a “offerte irrinunciabili”, che nessun altro farmacista privato avrebbe potuto fare».
Forse, i farmacisti sono pagati poco... Qual è la retribuzione?
«Al primo impiego, 1.700 euro netti per 14 mensilità. Oggettivamente, l’orario (notte e festivi) rende meno appetibile la professione».
Con Bolzano, l’accordo sulle farmacie è una battaglia persa?
«L’hanno persa loro. Per ragioni politiche...». Il no dell’Svp? «Sì, scelte politiche. Come con Rovereto, che ha la sua azienda multiservizi con dentro le farmacie».
Ora, avrà più tempo da dedicare alla Società Filarmonica...
«Sì, ci entrai come tesoriere nel 1985, presidente Dario Segatta. Poi ne divenni vicepresidente durante la presidenza di Marco De Battaglia, quindi ne sono presidente da una decina di anni. Facciamo una sessantina di concerti l’anno. Mi diverto ancora. Con Antonio Carlini, Antonio Divan, Nicola Segatta e gli altri siamo una squadra ben affiatata».