Porfido e mafia, la verità di Ottobre: «Ho solo cercato voti, ma poi nessun altro contatto»
L’ex parlamentare arcense, le radici calabresi: «Se penso a un modello, penso a monsignor Bregantini, lui sì che ha lottato senza tacere»
TRIBUNALE Chiesto il processo per 15 indagati
TRENTO. Ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio con sollievo: «Finalmente ho la possibilità di raccontare come stanno i fatti». Sulla gravità della contestazione, ossia il voto di scambio, è risoluto: «Respingo totalmente l'accusa. È un reato che non appartiene né alla mia storia personale, né alla mia storia politica». L'ex deputato Mauro Ottobre, arcense di nascita con sangue calabrese dal ramo paterno della famiglia, è fra i 15 imputati del filone politico-amministrativo dell'inchiesta Perfido sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Trentino.
Quarantanove anni, presto papà per la quinta volta («Sarà un maschietto, lo chiameremo Amedeo»), è grato ai suoi figli e alla moglie Ana («Una donna straordinaria»), sempre rimasti al suo fianco. Ricorda bene quel giorno, nell'autunno 2020, quando venne convocato dai carabinieri in caserma. «Mi sequestrarono il cellulare e poi venne perquisita la mia abitazione. Dissi loro: "Venite pure, non ho neppure i soldi veri, figuriamoci quelli falsi". Poi feci un'altra battuta: "A casa mia, di calabrese ho solo un ottimo peperoncino"».
Onorevole Ottobre, partiamo dall'inizio, dall'accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Le viene contestato di aver incontrato Innocenzio Macheda, uno degli imputati del filone principale di "Perfido", in occasione delle provinciali 2018. In quell'occasione, in un bar del centro commerciale di Civezzano, era presente anche Demetrio Costantino (condannato in primo grado a 10 anni). Lei ha chiesto voti?
Sì, e ho contattato io Macheda. Ritengo che come sia un diritto costituzionale candidarsi, così sia un diritto chiedere i voti per le elezioni. L'uomo che era con lui non l'avevo mai visto prima. Dopo quell'incontro non c'è stato più alcun contatto, né con l'uno, né con l'altro, di cui non ho neppure il numero. Gli inquirenti hanno controllato il mio cellulare. Nessun WhatsApp, nessun contatto su Messenger. Nulla.
Posto che lei racconterà la sua verità in aula e sarà un giudice a valutare la sua posizione, le chiediamo come ha conosciuto Macheda, ritenuto il capo della "locale" trentina della 'ndrangheta.
Mi fu presentato da Giulio Carini, imprenditore arcense (pure indagato nel secondo filone di "Perfido", ndr). Era il 2011-2012. In quel periodo ero consigliere provinciale. Carini acquistava materiale da Macheda, mentre io da Macheda, che mi è stato presentato come artigiano lavoratore del porfido, non ho mai preso neppure un cubetto. Preciso che Carini è diventato Cavaliere della Repubblica per meriti sociali: come si fa a pensare che una persona che ha una condotta esemplare ed una storia sociale importante possa essere vicino a certi soggetti? Nel 2018, quando mi ero candidato, ho contattato le persone che avevo registrato sul cellulare per categorie. Sotto "porfido" c'era il numero di Macheda. L'ho chiamato, come ho chiamato altri imprenditori. In campagna elettorale è normale incontrare tantissime persone e andare in giro per bar. Ma non ho uno scanner per sapere chi ho davanti…
L'accordo per lo scambio elettorale, secondo gli inquirenti, avvenne proprio in quell'occasione.
Macheda non mi chiese nulla di illecito, sennò lo avrei prontamente segnalati. Tra altro non venni neppure eletto e non ebbi quel pacchetto di voti che ci si aspetterebbe da un accordo di scambio. Ricordo che, quanto ero deputato, ricevetti a Roma la visita di un avvocato che mi disse che conosceva un gruppo di imprenditori interessati al Trentino, pronti ad investire in aziende in crisi: risposi che aveva sbagliato interlocutore e poi scrissi all'allora presidente della Camera Laura Boldrini. Quell'episodio mi spaventò.
Lei, Ottobre, è di origine calabrese come la maggior parte delle persone coinvolte (talune già condannate) nell'inchiesta Perfido. Da una parte viene accusato di collusione con la 'ndrangheta, dall'altra nel 2019 ha portato in Trentino il procuratore Nicola Gratteri, da sempre in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata: come si fa a gestire due evidenze (l'inchiesta e le sue frequentazioni di personalità antimafia) che stanno agli opposti?
Non credo che ci possa essere un pregiudizio nei miei confronti per via delle mie origini, perché ci sono calabresi emigrati dalla Calabria che fanno grandi cose per il nostro Paese. Ribadisco che sono stato attaccato per cose che non sono nel mio Dna. Inoltre questa inchiesta ha avuto ripercussioni nella mia vita di tutti i giorni. C'è un sistema anticorruzione spaventoso: stavo acquistando la prima casa e non ho potuto comprarla perché mi è stato precluso l'accesso al mutuo. E i miei figli, in quanto persone a me vicine, hanno avuto problemi per il rinnovo delle carte di credito prepagate.
Qual è il suo rapporto con la Calabria e con i calabresi?
Mio padre è nato in Calabria e dai 6 anni in poi è cresciuto a Bolzano, dove si erano trasferiti i miei nonni e gli zii. Non ho parenti giù, perché nonno Vincenzo era un orfanello trovato nel mese di ottobre. Da ciò deriva il nostro cognome. A Martone, paese di origine, nonno dovette andare via: faceva la guardia forestale, era troppo onesto. Sono tornato a Martone e da parlamentare più volte sono stato in Calabria per incontrare i sindaci e nella Locride, dove per anni ha vissuto monsignor Giancarlo Bregantini. Ecco, vorrei ricordare che il modello di noi trentini è proprio Bregantini: lui parla alle folle e la mafia ha paura di chi parla alle folle. Non ha piegato la testa, l'ha alzata.
Si sente pronto a tornare in politica?
Sì, e spero che la vicenda si chiuda velocemente perché vorrei portare la mia esperienza ad Arco, con un progetto civico. Dopo l'inchiesta, per rispetto delle istituzioni, ho rifiutato l'offerta di candidarmi alle politiche e alle provinciali 2023. Ho detto no anche a Luca Palamara (ex consigliere Csm ed ex presidente Anm, ndr), che mi ha chiesto la disponibilità per le europee.
Per concludere, una domanda secca: se tornasse indietro, farebbe ancora la telefonata a Macheda chiedendo un incontro?
Sì, perché non ho fatto nulla di male. E, in generale, ritengo che non si debbano avere pregiudizi nei confronti dei meridionali che qui vivono e lavorano. Le persone arrivate dal sud hanno avuto una parte importante per il Trentino, hanno contribuito a far crescere il territorio.