Trentino, prospettiva preoccupante: nel 2040 popolazione in caduta libera
Lo studio della Fondazione Nord Est, da noi previste ventimila persone in meno: come se sparissero gli abitanti delle valli di Cembra, Fiemme e Fassa. Ma la provincia (-3,8%) con l’Alto Adige (-1,2%) è quella italiana con il calo demografico inferiore
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TRENTO. La popolazione del Trentino da qui al 2040 calerà di quasi 21mila unità passando dai 543mila abitanti attuali a 522mila. In percentuale è un calo del 3,8%, il più basso di tutto il Nord Italia ad eccezione della provincia di Bolzano dove la diminuzione sarà solo dell'1,2%.
Molto più marcata la diminuzione attesa in Liguria (-14,2%), Piemonte (-11,6%), Lombardia (-11,6%) e in generale in tutto il Nord Italia dove secondo lo studio pubblicato ieri dalla Fondazione Nord Est nel 2040 la popolazione complessiva sarà di 25 milioni, cioè 2,4 milioni meno di oggi.
È quello che di solito si definisce l'inverno demografico e che la Fondazione invita invece a chiamare "glaciazione demografica". Perché, scrivono gli autori dello studio «non c'è alcuna primavera alle viste ma un lungo periodo di gelo crescente nelle dinamiche della popolazione».
La considerazione di partenza è che il tasso di natalità nel 2023 ha toccato il minimo storico mentre il saldo naturale è doppiamente in discesa perché calano le nascite e aumentano le morti in una popolazione che invecchia. Fondazione Nord Est, a cui stanno a cuore soprattutto gli impatti economici della natalità, sottolinea come qualsiasi cosa accada da qui al 2040 chi nascerà nei 16 anni che rimangono non avrà raggiunto a quella data l'età per lavorare e quindi non potrà contribuire al sistema produttivo.
Nell'analisi i ricercatori hanno volutamente azzerato il saldo migratorio, sia quello interno, proveniente soprattutto dalle regioni del Sud Italia, sia quello dall'estero. L'intenzione è infatti quella di evidenziare cosa sta accadendo nelle regioni settentrionali e quale sarebbe la situazione senza l'apporto demografico degli immigrati.
«Si è creato - si legge nella relazione - lo scenario tendenziale sulla base del quale prendere coscienza della gravità dei fenomeni in atto e approntare le misure politiche necessarie».Il report propone il giochetto della cancellazione dei centri abitati facendo presente come la perdita di oltre ventimila abitanti significherebbe svuotare Riva del Garda e Folgaria oppure le intere valli di Cembra, Fiemme e Fassa. Ma quello che preoccupa di più sono gli effetti territoriali ed economici di questa situazione.
Secondo Fondazione Nord Est, che dopo questa prima nota ne pubblicherà altre tre di approfondimento, saranno particolarmente penalizzati i centri remoti e isolati, con minori servizi e dove sono inferiori le prospettive di lavoro e vita sociale. Il rischio è il progressivo abbandono di luoghi periferici e il venire meno della manutenzione di boschi e terreni, con possibile accelerazione dei dissesti idrogeologici.
Dal punto di vista economico ci saranno minori acquisti e consumi mentre salirà la richiesta di servizi, soprattutto sanitari. Col minor fabbisogno abitativo si prevede una depressione del mercato immobiliare mentre la minore accumulazione di risparmio farà calare anche i mercati finanziari e bancari».«È bene fare i conti con queste prospettive - avverte lo studio - perché non ci si potrà più rifugiare dietro la scusante del nessuno ci aveva avvisato».