In Trentino ottomila immobili degradati, Di Rosa (Ingegneri): serve il coraggio di demolire
L’Agenzia delle entrate li classifica “collabente”, sono unità immobiliari che non producono più reddito. A questi vanno aggiunti gli almeno 150 mila alloggi sfitti, malgrado la fame di case delle zone urbane. L’architetto Giorgio Tecilla: «Deve cambiare la cultura dell’utilizzo delle risorse»
IL PUNTO In Trentino oltre 400 ruderi, il caso degli edifici dismessi
NUMERI In Trentino 153mila case «non abitate»
PROGETTO "sedotti e abbandonati" quelle ferite nelle comunità
FUTURO Spazi che ci interrogano: bisogna costruire sul «costruito»
TRENTO. In Trentino ci sono ottomila unità immobiliari "collabente". Termine con il quale si definiscono gli immobili che fiscalmente non producono più redditi. L'Agenzia delle Entrate ne ha classificati per la precisione 7.796. Sono immobili ormai degradati su cui i proprietari non pagano più imposte.
Si badi bene, ottomila immobili inutilizzati, ma che non fanno parte di quell'enorme patrimonio di alloggi sfitti che in Trentino ammontano a 150 mila. Dentro quegli ottomila immobili c'è di tutto: alloggi, capannoni, alberghi. Qualsiasi edificio degradato e non più utilizzato. Certo la questione stride, c'è una enorme contraddizione sociale tra la richiesta crescente di alloggi e la presenza di immobili abbandonati.
Il fatto è che in certi casi costa di più demolire, che costruire. Si guadagna di più a innalzare nuovi edifici che ad abbattere. E qui si apre un altro problema che è quello del consumo di suolo: ogni anno il Trentino perde mediamente una cinquantina di ettari, anche se percentualmente sono la metà del resto d'Italia, ma bisogna considerare che siamo zona di montagna e i terreni sono più preziosi che nella pianura padana.
La presidente dell'Ordine degli ingegneri di Trento, Silvia Di Rosa analizza la situazione ed è drastica: «C'è un vero problema: abbiamo troppa gente senza casa e troppe case senza abitanti. Dobbiamo fare una valutazione di ciò che esiste e invece di costruire ex novo bisognerebbe avere il coraggio di demolire». Per Di Rosa servirebbe un ripensamento culturale: «C'è un tema sicuramente legato al fatto che abbiamo un patrimonio storico edilizio nel nostro sistema Paese e abbiamo la tendenza a conservare anche edifici che non hanno valenza storica, ma rientrano in un nucleo urbanistico. Servirebbe una politica ragionata su questo genere di problematiche per valorizzare quello che già esiste».
Di Rosa fa anche un altro ragionamento sulla debolezza del nostro patrimonio edilizio: «È fragile, dovremmo mettere in tutela da un punto di vista sismico, anche se siamo in una zona felice da questo punto di vista. Inoltre abbiamo edifici vecchi».
Chi ci aiuta anche a capire, si potrebbe proprio dire il paesaggio, è l'architetto Giorgio Tecilla, che fino a due anni fa era a capo dell'Osservatorio del Paesaggio, che ha sfornato in questi anni preziose analisi e dati sul consumo di suolo e sul patrimonio immobiliare in Trentino.
«Questo dato sulle unità immobiliari collabenti non mi stupisce - dice Tecilla. - L'Osservatorio aveva fatto una ricerca sullo stato del patrimonio edilizio trentino e messo in relazione il numero delle famiglie e il numero delle abitazioni. Ma c'è una generale mancanza di monitoraggio ed è un problema».
Tecilla introduce anche un altro problema: «La realizzazione di seconde case e la loro correlazione con il consumo di suolo. Purtroppo questa analisi si è fermata. Aumenta il consumo di suolo e cala la popolazione residente a causa della denatalità. È un obiettivo dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che dice che va recuperata la relazione tra evoluzioni demografiche e consumo di suolo, ma in realtà non succede. Al fondo - prosegue Tecilla - c'è una cultura della gestione delle risorse legata agli anni '60, quando si ragionava sempre in una logica espansiva. È un approccio culturale che deve cambiare. Poi ci sono i meccanismi finanziari, per cui si preferisce pensare di tenere bloccato un bene, non capendo che perde valore. Oltre al fatto che il suolo è una risorsa limitata».
Ma perché non si demoliscono gli immobili ormai degradati? «Perché è un costo enorme, poi ci sono le bonifiche da fare. Non riesco a leggerla in bianco e nero. Ma è una questione culturale e anche di politica delle risorse. Comunque qualcosa è avvenuto nel tempo, ma certo dobbiamo cambiare i modelli di riferimento».