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Il trentino Nicola Faganello nuovo ambasciatore italiano a Dublino: «tutto iniziò con l'Erasmus»

Da Atene all’Indonesia, da Los Angeles al Ministero, la carriera del diplomatico: «Mia moglie, che è tedesca, condivide con me questa vita di cambiamenti»

STORIE Le interviste dei trentini all'estero

di Daniele Battistel

TRENTO. Prenderà servizio a Dublino tra pochi giorni Nicola Faganello, il diplomatico trentino che è stato nominato Ambasciatore d'Italia in Irlanda. Figlio di Flavio, fotografo  conosciutissimo in tutto il Trentino, morto nel 2005, Nicola, classe 1967, è cresciuto in città, frequentando il liceo classico Prati e poi l'Università di Giurisprudenza.

Ambasciatore, come è nata il suo interesse per la diplomazia e la politica internazionale?

«C'è sempre stato un interesse e una propensione verso questi temi, che mi ha portato a scegliere il diritto internazionale - e cioè, se così si può dire, il più politico tra i "diritti", per la mia tesi di laurea. La carriera internazionale era quindi uno degli sbocchi preferiti per i miei studi, inoltre c'è sempre stata da parte mia una grande curiosità nello scoprire e conoscere realtà nuove. Del resto rientro in quella che era la "generazione Erasmus", con un periodo di studi a Maastricht a cavallo dei primi anni Novanta, che è avvenuto proprio al termine degli esami e già nella fase della preparazione della tesi, quando non era così diffuso lo studio di lingue straniere e il trascorrere un anno di formazione all'estero. Dopo la laurea ho fatto un corso all'Ispi (istituto per gli studi di politica internazionale) e poi ho provato il concorso per la carriera diplomatica».

Dove l'ha portata finora la sua carriera?

«Ho iniziato all'Ambasciata italiana ad Atene occupandomi di politica interna, stampa e cultura per poi proseguire all'Ambasciata in Indonesia nel settore del commercio e cooperazione allo sviluppo. Successivamente sono stato 4 anni al Ministero degli esteri a Roma lavorando nella Direzione del personale, prima del quadriennio a Los Angeles Console Generale. Successivamente a Ginevra alla Rappresentanza Permanente italiana presso gli organismi internazionali, in cui ho seguito in particolare l'Organizzazione Mondiale per il Commercio e le altre Organizzazioni operanti in quel settore. Nel 2015 sono rientrato al Ministero a Roma occupandomi ancora di personale e dal 2020 ho assunto l'incarico di vice direttore generale e direttore centrale per la Politica commercio internazionale, nella direzione generale per l'Europa».

Qual è stata l'esperienza lontano dall'Italia che l'ha più segnata?

«Sono state tutte e 4 molto interessanti perché il nostro mestiere si può fare in modo diverso in contesti diversi: dall'attività consolare e di ambasciata a quella multilaterale negli organismi internazionali. Diciamo che l'esperienza in Indonesia è stata importante per la diversità e la complessità di quell'enorme Paese, ma anche quella a Los Angeles perché si trattava di una grossa circoscrizione con forte attività promozionale, scientifico culturale e di una realtà, quella della California e del Sud Ovest degli USA estremamente dinamica e innovativa. Senza scordare che il primo incarico, per me ad Atene, non si dimentica mai».

Il bello e il difficile del suo mestiere.

«Il bello è, come dicevo prima, avere la possibilità di sperimentare realtà diverse e il fatto che il sistema ti porta ogni tot anni a cambiare luogo, lingua, lavoro. Diciamo che si evitano le routine. Ma ovviamente ciò può diventare difficile sul piano familiare e delle amicizie. Ognuno deve riuscire a trovare il suo equilibrio».

Nel suo caso è stato difficile?

«Con mia moglie, che è tedesca, abbiamo sempre condiviso l'interesse per questo tipo di vita. Certo, abbiamo fatto delle scelte per assecondare la crescita dei figli. Da ultimo a Roma siamo rimasti per oltre otto anni di fila per dare radici e continuità di studio ai nostri due figli. Ora una frequenta l'Università all'estero, mentre il secondo farà la maturità a giugno a Roma».

A suo parere quali sono le caratteristiche principali per percorrere una carriera in diplomazia o comunque negli organismi internazionali?

«Da un lato avere una propensione per l'apertura e la curiosità mentale, unite alla voglia di capire e comprendere prima di giudicare. Dall'altro serve flessibilità perché ci si deve saper adattare e reinventare, sul piano sia personale che professionale, dopo un certo numero di anni trascorsi in una città e in una posizione. Del resto, la flessibilità e il compromesso (che non sono, a mio avviso, termini e concetti necessariamente negativi, anzi...), sono alla base del mestiere del diplomatico che tende di regola a cercare di portare due posizioni distanti verso un punto di condivisione, usando il dialogo e la comprensione reciproca, ma tenendo sempre ben conto degli interessi del proprio Paese e di alcuni valori e principi di fondo».

Quali consigli darebbe ad un giovane intenzionato a seguire questa strada?

«Serve di sicuro una profonda padronanza delle lingue che vada al di là delle conoscenze scolastiche. Poi bisogna avere chiaro il settore in cui ci si vuole impegnare: per la carriera diplomatica personalmente credo possano essere utili i corsi di preparazione ad hoc. Per gli altri percorsi internazionali è importante sviluppare una propria specializzazione di studio. Per questo tipo di carriere, oggettivamente più specialistiche, il mio consiglio è proprio quello di elaborare nicchie di competenza particolare. Per esempio, esperti in aspetti finanziari e contabili sono molto ricercati negli organismi internazionali, ma anche chi ha competenze nel settore agricolo e del clima».

Quali sono i temi centrali del suo prossimo incarico di ambasciatore a Dublino?

«L'Irlanda è un paese dinamico e interessante che negli ultimi anni ha confermato di essere particolarmente votato all'innovazione e al mondo della finanza. Un paese giovane, dinamico e attivo che affonda le radici in una grande cultura, storia, tradizioni. Per la sua collocazione geografica ha un ruolo importante nel rapporto tra Unione europea e Regno Unito, ma vanta anche relazioni speciali con gli Stati Uniti, visto il grande numero di americani di origine irlandese. Inoltre, l'Irlanda avrà la presidenza dell'UE nel 2026 e l'Italia nel 2028: due periodi particolarmente impegnativi e significativi per i due Paesi e per il futuro dell'UE in generale, che dovrebbero rientrare nel mio mandato a Dublino. Nel Paese c'è una comunità di residenti italiani di oltre 30mila persone ancora in crescita e con un grande afflusso di giovani negli ultimi 10 anni. Si tratta di una comunità vivace e attiva, legata in particolare al mondo delle startup nel settore informatico, dell'innovazione, ma anche dei fondi finanziari».

Come sono i rapporti politici tra Italia e Irlanda?

«Tradizionalmente sono molto buoni e ben radicati su vari aspetti e, come ho avuto modo di constatare direttamente nei miei recenti incarichi in quel settore, anche nel settore del commercio abbiamo spesso posizioni comuni».

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