«Quel ragazzo lasciato solo a difendere la madre»
Il dramma di Mezzolombardo, per la psicologa Roberta Bommassar si poteva intervenire prima: «Per alcune donne resta difficile chiedere un aiuto. C’è stata la rottura tra un modello paterno e quello del figlio che ha considerato il comportamento violento del padre come qualcosa di inaccettabile anche per lui»
LA CONFESSIONE "Papà picchiava mamma, non ne potevo più"
IL CASO Scarcerato il 19enne che ha ucciso il padre a Mezzolombardo
SICILIA Ventenne arrestato per aver accoltellato il padre in difesa della madre
TRENTO. Quando un figlio poco più che maggiorenne uccide il padre per difendere la madre dall’ennesima aggressione si resta sgomenti e il primo pensiero è se si sarebbe potuto fare qualcosa per impedire che si arrivasse a questa tragedia. Roberta Bommassar (nel riquadro della foto in alto), già presidente dell’Ordine degli psicologi del Trentino, misura le parole e naturalmente non entra nel merito di questo singolo caso, ma offre alcune chiavi di lettura per una riflessione più generale su episodi come questi.
Dottoressa Bommassar, quale è il suo primo pensiero di fronte a un ragazzo che arriva ad accoltellare a morte il padre per proteggere la mamma?
La prima cosa che viene in mente è che questo è il risultato di una situazione di deterioramento delle relazioni familiari, con probabilmente una serie di precedenti, e non sappiamo per quale motivo sono mancati i servizi, la scuola, il vicinato. Sembra che sia assente una rete, non tanto per intervenire nella situazione già scoppiata, ma per intervenire prima e per prendere in carico la situazione.
Questo giovane dunque si è sentito solo nell’affrontare il padre che, come ha raccontato, continuava a maltrattare la moglie?
Diciamo che c’è stato bisogno che un ragazzo di 19 anni si sentisse sulle spalle la responsabilità, che dovrebbe essere della società, per risolvere una situazione di maltrattamenti all’interno della famiglia. È mancata la capacità di cogliere i segnali di disagio che è difficile immaginare che non potessero esserci. Poi non so che famiglia è. Ma gli altri adulti cosa hanno fatto o non hanno fatto per prevenire una situazione di questo tipo?
Ora cosa può provare un giovane che viene arrestato dopo quello che ha fatto?
Questo giovane si porterà negli anni futuri il peso del reato gravissimo che ha commesso. Dovrà affrontare ovviamente un processo e la carcerazione per un atto che nella sua mente era di difesa della madre. È come se avesse dovuto prendersi sulle sue spalle l’incarico di fare “giustizia”. E poi penso al fratello più piccolo che era in casa. Mi viene da dire che tutti abbiamo fallito, come società, di fronte a quanto accaduto. Non si sono intercettati i segnali di disagio.
La madre non aveva mai denunciato i maltrattamenti. È stato il figlio a parlarne dopo l’omicidio del padre.
Dobbiamo chiederci quanto sia difficile per alcune donne fare quel passo per chiedere un aiuto. Anche riconoscerci il diritto di vivere tranquilli nel nostro contesto familiare per molte donne è ancora difficile da rivendicare con forza.
Secondo lei questa azione del figlio che accoltella il papà nasce dal legame madre-figlio o da un’idea diversa del rapporto con le donne che questo ragazzo ha rispetto al padre?
Sicuramente c’è stata la rottura tra un modello paterno e quello del figlio che ha considerato il comportamento violento del padre come qualcosa di inaccettabile anche per lui non solo per la madre. Se non fosse così, avrebbe potuto banalizzare o giustificare le violenze del padre nei confronti della madre, in quanto categoria femminile, ritenendole non particolarmente gravi. In questo caso, invece, c’è stata la contrapposizione tra il modello paterno e quello del figlio.
È possibile però che anche i ragazzi abbiano subito violenze da parte del padre?
Non è detto. È possibile per una persona violenta. Ma ci sono degli uomini che sono violenti con le mogli, perché sono donne, e non con i figli.