Nasce a Trento la proposta per l'obbligo di casco in bici. La Fiab: non è così che si tutelano i ciclisti
Presentato un testo elaborato dal comitato provinciale della Fci e fatto proprio dalla parlamentare Vanessa Cattoi. Il tema torna ciclicamente da vent'anni e la Federazione italiana ambiente e bicicletta, statistiche alla mano, invita a diffidare da un'idea di "falsa sicurezza che colpevolizza i ciclisti". L'elmetto è definito utile e da promuovere come protezione aggiuntiva, ma si chiedono soluzioni sui veri nodi: piste ciclabili, incroci sicuri, limiti di velocità, riduzione del traffico automobilistico
TRENTO. Una proposta di legge elaborata dal comitato trentino della Federazione ciclistica italiana, sul tema della sicurezza dei ciclisti, prevede l'obbligo di impianti di illuminazione di serie su tutte le biciclette, l'introduzione dell'obbligo del casco per tutti i ciclisti, indipendentemente dall'età, con relative campagne di sensibilizzazione. Previsto, inoltre, l’inserimento di domande relative al tema anche nei quiz per il conseguimento della patente di guida.
Sullo sfondo, l'allarme per i numerosi incidenti stradali, anche mortali, dei quali sono vittime i ciclisti.
La proposta, è stata illustrata in un incontro svoltosi nella sede trentina del comitato. Si è sottolineato anche l'intento di promuovere l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto ecologico e salutare, come ha ricordato il presidente Giovannina Collanega, che era affiancata dal vice Antonio Benvenuti e dal consigliere Paolo Castelli. Presenti anche la parlamentare Vanessa Cattoi, la presidente del Coni provinciale Paola Mora e il numero uno della Fci delle Marche Lino Secchi.
«È arrivato il momento - ha detto Benvenuti - di costruire biciclette che non siano solo sempre più veloci e leggere, ma anche significativamente più sicure-. La sicurezza deve essere una priorità assoluta, e questa proposta di legge rappresenta un passo cruciale in questa direzione. Vogliamo garantire che ogni ciclista, indipendentemente dalla sua esperienza o età, possa pedalare in sicurezza sulle nostre strade».
«Sono onorata - ha dichiarato Cattoi - di ricevere questa proposta di legge, che riflette un impegno concreto verso la sicurezza dei ciclisti, un tema di vitale importanza. Mi impegnerò, insieme ai colleghi legislatori, a far sì che questa proposta possa iniziare l'iter necessario per essere valutata ed elaborata».
Secondo i promotori, l'adozione della proposta di legge in questione non solo andrebbe a migliorare la sicurezza stradale, ma porterebbe anche significativi vantaggi economici e sociali. «Ridurre il numero di incidenti coinvolgendo ciclisti può diminuire i costi associati allIn rederazione italiana ambiente e biciclettaealtà, di obbligo di casco (specie per i bambini) come ipotesi per diminuire i danni subiti dai ciclisti, e cure mediche e all'assistenza post-incidente. Inoltre, promuovendo l'uso della bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano, si favorisce la riduzione delle emissioni di CO2, contribuendo agli obiettivi nazionali di sostenibilità ambientale e migliorando la qualità della vita urbana», scrivono.
E ricordano che molti Paesi europei, come i Paesi Bassi e la Danimarca, sono già all'avanguardia nella protezione dei ciclisti, grazie a normative stringenti e infrastrutture dedicate. «In Olanda, ad esempio, l'uso del casco e delle luci è altamente incentivato, e le piste ciclabili sicure sono diffuse in tutto il territorio», precisano.
In realtà, di obbligo di casco (specie per i bambini) come ipotesi per diminuire i danni subiti dai ciclisti, si parla in Italia, ciclicamente, da almeno vent'anni.
Si tratta di un tema controverso, le associazioni che si occupano di promozione della ciclabilità urbana, per esempio, hanno spesso replicato che si tratta dio un falso problema, che potrebbe risultare in un disincentivo al'uso della bici negli spostamenti quotidiani, mentre gli interventi veramente utili per la sicurezza dei ciclisti avanzano a ritmi lentissimi: le piste ciclabili davvero protette, le limitazioni alla presenza e alla velocità delle automomobili nelle città, i dossi rallentatori, le rotatorie da ripensare, le zone trenta da molti osteggiate eccetera.
Appena un anno fa di obblighi di casco, assicurazione, targa e frecce per biciclette e monopattini, aveva parlato anche il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, riferendosi al nuovo Codice della strada.
In quell'occasione era stata netta la replica della Fiab nazionale (Federazione italiana ambiente e bicicletta): "Obblighi che vanno a colpevolizzare le vittime della violenza stradale, mettendo in campo normative che non esistono in nessun altro Paese europeo".
Fiab, la più grande associazione in Italia di ciclisti non sportivi, sottolineava così, in una nosta stampa, l'incongruità di tali proposte: "Agendo in questa direzione non si interviene sulle tre principali cause di incidenti e collisioni stradali ovvero: velocità elevata, distrazione, mancanza di precedenza agli attraversamenti".
Statistiche alla mano, da sempre la Fiab dice no al'obbligo di casco: «Ha comportato una riduzione dei ciclisti» in quei pochi Paesi europei ed extraeuropei dove l’obbligo del casco è stato introdotto. «La Svizzera è stata l'unico stato a sperimentare in passato obblighi analoghi a quelli oggi in Italia, decidendo poi di abolirli più di dieci anni fa, perché ritenuti inutili e persino dannosi ai fini della sicurezza stradale».
Non significa che la Fiab sia contraria all'uso del casco, ma pone l'accento sul rischio che si dia un messaggio di falsa sicurezza, tralasciando altre variabili ben più rilevanti per tuterlare i ciclisti.
«Il casco – scrive Fiab – è senz’altro utile, una protezione aggiuntiva per una parte sicuramente vulnerabile in caso di caduta. Siamo favorevoli all’uso del casco e ne incentiviamo l’utilizzo. È riguardo però alla sua efficacia oltre certe velocità che lo scetticismo diventa più che giustificato: gli elmetti sono certificati infatti per resistere a impatti fino a 23/25 km/h. Al di sopra di queste velocità non si ha alcuna garanzia. È quindi ininfluente se si viene investiti da mezzi motorizzati, situazione che costituisce la quasi totalità della causa degli incidenti gravi e mortali».
Sia la Fiab l’European Cyclists’ Federation si appellano alla Safety in numbers, ovvero a un considerazione confermata da diversi studi secondo cui «il più importante fattore di sicurezza per i ciclisti è la presenza di un alto numero di biciclette nel traffico».
In Italia il raddoppio dei ciclisti tra il 2010 e il 2020 ha contribuito a ridurre del 7% gli incidenti mortali tra le persone che vanno in bicicletta.
Per Fiab, dunque, "più bici circolano e più si abbassa il livello di rischio di collisioni tra tutti gli utenti della strada, e quindi il numero complessivo di morti e feriti. Questa evidenza, acclarata da tutte le statistiche internazionali, è stata già recepita nel Piano generale della mobilità ciclistica approvato nell'agosto del 2022 all'unanimità nella Conferenza unificata Stato-Regioni".
"Proprio il Parlamento Europeo - conclude la Federazione ciclistica - ha chiesto incentivi per la diffusione della bicicletta come mezzo di trasporto in città e nel tempo libero, e alle cargo bike per le consegne nei centri urbani. In Portogallo, ad esempio, è già stata tagliata l'Iva sull'acquisto delle biciclette".