Federico Buffa e le storie delle Olimpiadi del 1936

Le storie dello sport sono storie di uomini, sono storie che scorrono assieme al Tempo dell'umanità, seguono i cambiamenti e i passaggi delle epoche. Fra queste ci sono anche quelle che danno forma allo spettacolo Le Olimpiadi del 1936 una conversazione/spettacolo di Federico Buffa , conosciuto dal pubblico degli sportivi (e non solo) per il suo programma in onda su Sky, che verrà proposto questa sera, alle 21, a Sanbàpolis.
Di questo spettacolo che partendo dalla narrazione di una delle edizioni più controverse dei Giochi Olimpici, quella di Berlino del 1936, racconta una storia di sport e di guerra abbiamo parlato con lo stesso Federico Buffa che ne ha scritto il testo assieme a Emilio Russo, Paolo Frusca e Jvan Sica .
Buffa, da che cosa nasce la scelta di raccontare le Olimpiadi di Berlino?
Quando Emilio Russo e Caterina Spadaro, i due registi dello spettacolo, mi chiesero se fossi pronto per fare il grande salto dalla televisione al palco io risposi con un deciso «no». A questo aggiunsi però il fatto che quello era il sogno della mia vita e avrei voluto tanto provarci. In quel momento mi chiesero quale fosse la storia con componente teatrale che più avrei voluto raccontare e senza esitazioni risposi che era quella delle Olimpiadi di Berlino.
Che spettacolo ha preso forma?
Ho avuto da Russo, autore del testo teatrale, il permesso di uscire quattro cinque volte dal testo per poter narrare i fatti di Berlino. L'ho fatto con l'occhio di un uomo del 2015 che conosce i fatti di quell'evento sportivo guardando ad alcuni aspetti di natura storica e approfondendo le figure di tre personaggi come Leni Riefensthal, con le sue immagini rivoluzionarie che raccontarono quelle Olimpiadi, l'americano Jesse Owens e il coreano Sohn Kee Chung,raccontati con una visione contemporanea. Io mi calo nei panni di Wolfgang Fürstner, comandante del villaggio olimpico che venne destituito.
Anche la musica si intreccia con le parole.
Alla narrazione fa da supporto la musica, con le canzoni evocative di un'epoca in bilico tra il sogno e la tragedia come quella di Berlino nel 1936. Con me sul palco ci saranno la giovane cantante Cecilia Graggani, Alessandro Nidi al pianoforte e Nadio Marenco alla fisarmonica.
Per Hitler e Goebbels le Olimpiadi volevano essere l'apoteosi della razza ariana: ci riuscirono?
Quelle Olimpiadi furono un trionfo per i nazisti dal punto di vista sportivo visto che i tedeschi vinsero un numero di medaglie abnorme e la dominarono. Però la storia, e non solo quella sportiva tende a ricordare maggiormente le quattro medaglie di Owens in nove giorni e una performance atletica pazzesca: ricordiamoci che fu primo nei 100 e 200 metri piani, nella staffetta 4 x 100 metri e nel salto in lungo senza dimenticare le vittorie di altri due atleti di colore quali Cornelius Jonshon e Dave Albritton. Vorrei anche sottolineare che oltre alla figura di Hitler in questa storia ci sono anche gli americani che non furono neppure capaci di mandare neanche un telegramma di congratulazioni da parte di Roosvelt perché non era il caso di mandarlo ad un nero.
Che segnale ci da il ricordo di Owen?
Credo sia bello vedere come in un momento così particolare della storia dell'uomo, proprio durante quelle che possiamo considerare come le prime Olimpiadi moderne, in occasione della definitiva perdita di verginità dello sport che da quel momento diventa anche strumento di propaganda, le storie di uomini di sport come Jesse Owens riescono ad essere superiori e anche ad essere ricordate più della follia nazista.
C'è poi anche la storia drammatica del coreano John Kee-chung (alias Son Kitei) che gareggiava per il Giappone.
Questo atleta dimostra l'incredibile annichilimento della cultura coreana da parte dei giapponesi che arrivò fino al paradosso di fare correre gli altleti coreani con un nome nipponico, appunto. Basti dire che ancor oggi le medaglie d'oro e di bronzo vinte da coreani a Berlino nella maratona sono assegnate al Giappone. In quell'occasione John Kee-chung durante la premiazione tenne il capo chino e i fiori sulla tuta a coprire il simbolo del Sol Levante.
Le Olimpiadi sono anche quelle di Città del Messico dei velocisti Smith e Carlos con il pugno, contornato da un guanto nero di cuoio, alzato ricordando le Pantere Nere.
Ci sarebbero davvero tante storie sulle Olimpiadi ma appunto quella di Città del Messico, anche con quel momento legato a Smith e Carlos insieme a tanti altri significativi, sarebbe quella che avrei voluto raccontare se non avessi scelto quella di Berlino.
I tragici accadimenti di Parigi con quelle immagini terribili allo stadio durante Francia e Germania fanno comprendere anche come lo sport sia nel mirino.
Gli eventi sportivi sono sempre stati una cassa di risonanza per azioni ecclatanti basti pensare al blitz dei palestinesi nei riguardi degli atleti isrealiani a Monaco. Bisogna renderci conto che oggi siamo in guerra anche se affrontata con mezzi non convenzionali. Purtroppo temo che prima o poi un attentato possa colpire anche un evento sportivo e questo mi angoscia. In questo spettacolo c'è anche una parte dedicata a Parigi dove racconto una parte del rapporto fra Hitler e la capitale francese. Sabato sul palco di Saronno in quel punto della narrazione mi sono sentito in difficoltà, commosso davanti alle terribili notizie che arrivavano dalla Francia.

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