Fantastica Aida, di oggi e d'allora
Dopo essersi cimentato nella scrittura di uno spettacolo teatrale come «Avete mai provato ad essere donne» e aver firmato insieme a Sandra Bosisio un libro dai contorni particolari come «Anime vive», Gabriele Biancardi pubblica ora il suo primo romanzo Il mio nome è Aida . Un libro, in uscita per le edizioni Minerva, che verrà presentato domani sera, alle 20, all'Oratorio del Duomo , in un appuntamento organizzato dalla Viaggeria con la presenza anche dello scrittore Francesco Vidotto . Di questo libro che racconta la storia vera, naturalmente romanzata, della nonna emiliana del noto conduttore di Radio Dolomiti, nata «nella bassa» e diventata ragazza madre a diciannove anni, abbiamo parlato con Gabriele Biancardi.
Da quali esigenze ha preso forma questo suo primo romanzo?
«Sono sempre stato un grande appassionato di storia. Quando intercetto dei filmati antichi ne sono rapito, amo sentire i racconti degli anziani, dietro ci sono sofferenze ma anche grandi gioie, oggi non siamo nemmeno in grado di percepire la loro capacità di soffrire. Così ho pensato di tuffarmi anch'io nel passato ed è nato questo racconto»:
Ha scelto una storia vera unita alla fantasia quella di sua nonna Aida: che donna era?
«La voglio definire come una donna fantastica che ha vissuto fino a cento anni. Era una donna molto moderna, l'unico suo rammarico è stato quello di non aver mai preso l'aereo. Una donna molto divertente, quando mi dicono che abbiamo la stessa risata, per me è sempre stato il complimento più bello».
Il racconto è attraversato anche dalla Seconda guerra mondiale: ne esce un'Italia molto diversa da quella di oggi.
«Si, proprio per l'amore delle "storie" ho voluto raccontare di quel periodo, la mia generazione e quella prima non hanno la minima idea di cosa volesse dire vivere sotto la guerra, alcuni episodi sono veri, la seta dei paracaduti per esempio».
C'è anche un amore che però definisce amaro: come mai?
«Il finale del libro lo spiega, io penso che ci si possa innamorare diverse volte nella vita, ma solo uno è il grande amore e non importa se dura tanto o poco».
Come escono le figure «maschili» dalle sue pagine?
«Non tutte benissimo a dire il vero, nonostante a quei tempi il "maschio" comandasse tutto, in alcune famiglie, come la mia, abbiamo sempre vissuto una egemonia femminile, molta matriarcalità, ma ti dirò che ne sono felice».
Ma alla fine Aida è una donna felice o con troppi rimpianti?
«Penso che abbia vissuto un periodo storico con cosi tante fatiche che i momenti di gioia siano stati amplificati. Penso alla fine che sia stata una donna felice con qualche ombra. Ma sicuramente è stata molto molto amata. Ed è questo che conta».
Cosa c'è, se c'è, di radiofonico in questo romanzo?
«C'è una radio che annuncia l'entrata in guerra, c'è sempre una radio che trasmette per i partigiani da Londra. Di radiofonico forse il ritmo, non ho mai amato i libri troppo descrittivi, non posso stare su tre pagine solo per capire com'era arredata una cucina!».
Quali sono le emozioni che vuole comunicare ai suoi lettori con questo romanzo?
«Mi piacerebbe che grazie alle parole e alla storia, potessero immaginare un'epoca che non c'è più, dei passi in avanti compiuti dalle donne, mai abbastanza secondo me, e che di fronte a certe situazioni, bisognerebbe capire cosa si passa, e portare rispetto».
Ha già qualche idea per un secondo romanzo?
«Ci sono diverse cose che mi frullano in testa, ma se devo essere sincero, mi piacerebbe molto fare la biografia di Matey Kazinsky, penso che sarebbe interessante "romanzare" quello che è già una favola».