«Novembre 1966», alle Gallerie la mostra su Trento allagata - Video

di Matteo Lunelli

La storia, ma non solo. L’amarcord, ma non solo. La cronaca, ma non solo. La mostra sull’alluvione del 1966 che verrà inaugurata oggi alle Gallerie di Piedicastello vuole essere (anche) un’occasione per raccontare il territorio, per parlare di come è stato difeso, per spiegare il rapporto tra i cittadini e la loro terra. Un percorso espositivo che, grazie a installazioni, video e fotografie vuole essere (anche) una lezione di educazione civica. E chi più delle nuove generazione ha «bisogno» di educazione civica? Ecco perché la mostra «Novembre 1966» è rivolta soprattutto ai giovani, a chi di quell’alluvione ha solo letto qualcosa sui libri o ascoltato i racconti dei nonni. Perché quelle scene drammatiche, di fango e detriti, spiegano il Trentino e la gente trentina di oggi.

E in tal senso non è un caso che a curare l’esposizione sia stato un giovane, Alessandro de Bertolini, nato nel 1979, che dell’alluvione ha «solo» letto e sentito, senza viverla in prima persona. Quel novembre 1966 è stato un vero e proprio spartiacque, e il termine non è casuale, tra il Trentino di ieri e quello di oggi. L’evento ha segnato il territorio, in maniera drammatica, ma anche la società, l’economia, la politica, la gente. In una parola, la comunità.
«Perché l’alluvione è l’alluvione del Trentino, non di Trento», sottolinea de Bertolini. Che prosegue: «Se in città è stata drammatica, nei territorio è stata apocalittica. Basti pensare che delle ventidue vittime solo una è stata nel fondo valle, tutte le altre nelle cosiddette periferie».

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La comunità, si diceva. «Le persone devono conoscere il proprio territorio, il rapporto tra le due parti è identitario. Quindi insieme alla storia abbiamo provato a raccontare la difesa del territorio, iniziata allora e che prosegue ancora oggi. Tutto questo ha a che fare con l’educazione civica, non solo con la storia».
Da questa serie di considerazioni le spiegazioni per i fatti: ovvero, in primis, che l’esposizione, fatta anche di video (tra cui quello spettacolare di Costantino Armani), aprirà oggi (ore 18, aperta a tutti) e andrà avanti fino a settembre 2017.

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«Questo perché non sarà una classica e semplice celebrazione dell’anniversario. Vogliamo dare il tempo - spiega Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico - a tutte le scuole di partecipare. Ancora prima di iniziare abbiamo raccolto ottime adesioni, quindi la formula che abbiamo scelto pare funzionare».  
Anche l’assessore Tiziano Mellarini (alla cultura e alla protezione civile, quindi la mostra rappresenta in toto il suo mandato) sposa le motivazioni. «Mi auguro che venga visitata da tanti, soprattutto dai giovani. Il lavoro è stato impegnativo ma è riuscito benissimo, quindi i ragazzi possono conoscere la nostra storia».

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Quella che oggi,chiamiamo la «macchina della protezione civile», con tutti i suoi attori, che definiamo, senza mai lesinare entusiastici aggettivi o superlativi, «angeli», è nata, di fatto, allora. «Oggi abbiamo la Protezione civile, il volontariato, i servizi come i bacini montani, la prevenzione rischi, il corpo forestale, che sono l’orgoglio del Trentino, riconosciuti in Italia e in Europa. Questa coscienza civica è nata allora, i piani e le scelte urbanistiche, lo sviluppo armonico, sono nate allora».
Le immagini drammatiche di morte e devastazione, della natura che dimostra la propria superiorità, le abbiamo tutti negli occhi: se quelle relative al Trentino sono datate 1966 e sono spesso in bianco e nero, quelle del centro Italia sono purtroppo attuali. «I nostri meravigliosi uomini - prosegue Mellarini - sono lì a dare una mano per ricostruire, come fecero gli altrettanto meravigliosi uomini trentini nel 1966. Tra l’altro abbiamo deciso di raccogliere dei fondi da destinare alla solidarietà per l’Umbria e le Marche anche all’interno della mostra nelle Gallerie di Piedicastello. Possiamo dire che la cultura si schiera».

A raccontare il percorso che ha portato alla realizzazione della mostra c’è anche Roberto Coali del Servizio bacini montani. «L’esposizione vuole essere anche un veicolo di informazione e un punto di partenza. Tutto ruota intorno a una domanda: “Rispetto al 1966 come siamo messi adesso?”. Io direi che ci sono stati notevoli cambiamenti in un miglioramento continuo, grazie a tanta lungimiranza».
«Scelte che non rendono popolari i politici che le prendono, ma che nel lungo periodo si rivelano vincenti», sottolinea Mellarini, riferendosi a progetti, strategie, opere preventive e interventi magari costosi e magari poco visibili per il singolo cittadino, ma che permettono al Trentino di non essere praticamente mai sulle pagine dei quotidiani nazionali dopo qualche giorno di pioggia o di neve o di vento.


 

LA MOSTRA

Sezione 1. Gli eventi
La chiave di lettura di tutta la mostra è la pericolosità dell'acqua che, se non studiata e controllata, può distruggere, rovinare, uccidere. Ecco dunque che il visitatore, all'ingresso della mostra, accolto dal buio della Galleria nera, entra in un tunnel di specchi lungo venti metri. Dall'alto cinque proiettori fanno rimbalzare sulle pareti immagini di esondazioni contemporanee, da Sarno al Venezuela. Acqua che fuoriesce dagli argini, spacca, distrugge.

Sezione 2. 18.000 briglie
Dopo la malattia, la cura. Qui si mostra come è fatto il Trentino, quali sono i suoi corsi d'acqua e i suoi rilievi, quali le caratteristiche che lo rendono un territorio costantemente sotto osservazione e interessato da continue opere di salvaguardia. Sono state scelti sette casi di sistemazione (tra cui per esempio la Galleria Adige – Garda) spiegati con progetti, immagini e dati.

Sezione 3. Risali il fiume e la sua storia
Un tavolo lungo 50 metri. Una superficie che racconta la storia della difesa del territorio trentino dal punto di vista geografico e cronologico. Le mappe del catasto del 1800 consentono di percorrere la linea dell'Adige da Borghetto a Salorno. A fianco le tappe principali di questa millenaria storia. Si parte da 14.000 anni fa quando nel Neolitico la popolazione diventò stanziale e si stabilì vicino alle acque. Gli eventi si susseguono lentamente fino ad arrivare ad un affastellamento negli ultimi secoli, con le bonifiche di fondovalle del 1700, le grandi opere successive, l'alluvione del 1882. Il lungo tavolo accompagna il visitatore fino all'alba del 1966.

Sezione 4. Il 1966
È la sezione più grande che occupa circa un terzo della mostra, per oltre 100 metri di estensione. Le immagini dell'evento catastrofico che colpì il Trentino sono anticipate da una parentesi che restituisce il clima culturale di quegli anni: i consumi, le auto, la tv, il cinema e la pubblicità. In tutto questo irrompe il Novembre 1966. Ai rumori e al movimento delle proiezioni audiovisive si contrappone il silenzio di una lunga galleria fotografica che ritrae acqua e distruzione a Trento e nelle valli più colpite.

Sezione 5. Dopo il 1966
Ma – ovviamente – dopo il 1966 la storia va avanti. La tecnica del confronto fotografico mostra gli stessi luoghi come sono oggi e durante l'alluvione. Un cambiamento reso possibile dalla storia istituzionale e di intervento a difesa del territorio che ha interessato gli ultimi cinquant'anni.

Sezione 6. Le parole dell'autonomia
Come si è entrati si esce. Un nuovo tunnel di specchi conduce lungo gli ultimi metri di Galleria nera. Sulle pareti come in un gigantesco caleidoscopio scorrono le parole che hanno reso possibile questa storia di difesa del territorio. Autonomia. Protezione. Prevenzione. Preparazione. Comunità. Responsabilità. Partecipazione.

 

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