Avi Avital, un mandolino israeliano in quota
Pochi negli ultimi decenni hanno saputo far «vivere» uno strumento quale il mandolino come Avi Avital. Il musicista, nato nel 1978 a Be’er Sheva nell’Israele meridionale, ha portato il suono del mandolino ad intrecciarsi con diverse dimensioni fra classica, folk, klezmer e contaminazioni etniche. Legato all’Italia, anche per gli studi a Padova e con alle spalle una nomination ricevuta ai Grammy Awards come solista, Avital sarà oggi, alle 12, al Rifugio Contrin sulle Dolomiti di Fassa per i Suoni delle Dolomiti. Una dimensione particolare quella di montagna per un musicista come lui cresciuto in luoghi di pianura e desertici.
Avi Avital, quali composizioni eseguirà per i Suoni delle Dolomiti?
Non mi è mai capitato prima di suonare in montagna e all’aperto, quindi ho pensato ad un programma molto «panoramico», un racconto in musica fatto di quei pezzi che per me hanno un significato particolare, fra questi la Partita di Bach n°2 in re minore e poi suonerò della musica contemporanea per mandolino ma anche una composizioni che proporrò in anteprima scritta da Giovanni Sollima.
Da dove la sua passione per il mandolino?
Tutto ha origine da un incontro abbastanza casuale: il mio vicino di casa suonava il mandolino, io da bambino lo ascoltavo e mi piaceva molto. Così a otto anni ho subito lanciato ai miei genitori l’idea di imparare a suonare il mandolino. Loro, per fortuna, mi hanno assecondato.
Qual è il fascino di questo strumento?
Il mandolino è lo strumento più antico al mondo e allo stesso tempo uno strumento ancora tutto da scoprire. Non il mandolino classico come lo conosciamo oggi, ma lo strumento a plettro lo ritroviamo in tutte le culture, le più antiche. Ovunque nel mondo, sin dal passato più antico, c’è sempre uno strumento a pizzico, pensiamo all’antica Grecia con il bouzouki, la balalaika in Persia, il setar in Iran. Questa diffusione indica che è uno strumento molto intuitivo, troviamo dei riferimenti di questo tipo di strumento anche nella Bibbia, Mi affascina pensare che questo suono ci porti verso i ricordi dell’antichità.
Nel suo percorso di musicista lei ha toccato molti territori ben oltre la musica classica.
Assolutamente, ma questo nasce anche dalla natura del mandolino, l’essere sempre tra il folkloristico, il classico e il colto. Collegare i generi nasce da una mia curiosità artistica questo mi ha portato a sperimentare e fare molta musica balcanica, anche del jazz, come nell’ultimo progetto che ho fatto con Omer Avital nato dalle nostre origini comuni che arrivano fino al Marocco dove i nostri genitori sono nati. Anche per il futuro ho sempre questa curiosità, cioè allargare i confini dell’ambiente classico, questo lo posso fare perché a mio avviso con il mandolino c’è ancora un campo aperto, per creare e sperimentare, non c’è una strada già fatta.
Lei è nato in una terra tormentata come Israele: crede che la musica possa aiutare a superare divisioni millenarie?
Credo moltissimo nell’arte e nella musica, penso che se la gente consumasse più arte, il mondo sarebbe per tutti un posto migliore. La pratica e la fruizione dell’arte sviluppa l’immaginazione, l’empatia che ti permette di «immaginare» anche l’altro, questa potrebbe essere la chiave per un futuro più bello, sia nel mio Paese che in ogni altro luogo del mondo. Speriamo che la gente sappia ascoltare quel messaggio di fratellanza e di superamento delle barriere che arriva dalla musica.