Springsteen compie 70 anni e festeggia con un suo film
Bruce Springsteen domani compirà 70 anni.
Arriva a questa data in una forma straordinaria: chiusa la sua trionfale avventura a Broadway, che è stata la straordinaria evoluzione della sua autobiografia, nel giugno di quest’anno ha pubblicato «Western Stars», il suo nuovo album solista.
Il 25 ottobre arriverà nei cinema il film, che ha lo stesso titolo del disco, diretto insieme al suo amico e fedele collaboratore Tom Zimny, una via di mezzo tra il documentario della performance con cui, in un fienile di casa sua, ha suonato i pezzi di «Western Stars», e un visual che illustra con immagini la drammatica intensità dell’album.
Intanto sta lavorando al nuovo progetto con la E Street Band: c’è dunque da sperare (ma è qualcosa di più di una speranza) di rivederlo in tour la prossima estate.
Con il passare del tempo, al di là del successo planetario, Bruce Springsteen da rockstar si è evoluto in una vera e propria autorità morale, un punto di riferimento per chi ancora crede in un mondo diverso da quello dei muri, della paura, dell’odio razziale, dell’isolamento. Cosa rappresenti Springsteen per i suoi fan lo ha raccontato molto bene «Blinded By The Light», il film di Gurinder Chadha uscito questa estate, tratto dal libro autobiografico di Sarfraz Manzoor. Tutte le vicende del protagonista sono accompagnate dalle canzoni del Boss, che, su suggerimento di Patti Scialfa, la signora Springsteen che è un’ estimatrice della Chada (regista di «Sognando Beckham») ha concesso, senza limitazioni, le sue canzoni a questo piccolo film indipendente. È il senso di comunità, di compassione, di appartenenza e condivisione che, attraverso la musica, lega i personaggi esattamente come accade nella vita reale a chi ama le canzoni di questo rocker nato nella periferia del New Jersey.
Non a caso, dopo anni, il Boss è tornato a vivere a pochi passi dai luoghi dove è cresciuto, diviso tra la dolcezza di sua madre, Adele Zirilli, donna di origini italiane amatissima dai fan, e il padre Douglas Federick, un uomo affetto da una grave forma di depressione, con problemi di alcolismo, legato al figlio, che comunque lo considerava il suo eroe, da un rapporto molto complesso, basato più sull’assenza e la durezza di un’impenetrabile distanza che sull’affetto. Da grande narratore qual è, Springsteen ha raccontato anche nei dettagli più oscuri la sua esistenza di uomo salvato dal rock’n’roll. Nella sua vita non ha fatto altro. «Nei miei brani racconto la vita dei lavoratori anche se non ho mai lavorato in vita mia» confessa con la sua autoironia: Bruce si è formato nei locali del Jersey Shore e della scena musicale di Asbury Park degli anni ‘60. È li, durante session che finivano all’alba, che ha imparato i fondamenti del mestiere e soprattutto ha imparato a memoria lo sterminato repertorio su cui ha costruito parte della sua leggenda. La sua gioventù è corsa via tra sogni di rock’n’roll e pochi soldi, in una situazione di naturale integrazione etnica che è l’opposto dell’America di Trump e delle teorie sovraniste.
L’arrivo al successo non è stato facile: una gavetta dura, l’esordio discografico nel 1973, dopo un provino con il leggendario John Hammond, l’etichetta di «nuovo Dylan». Il contratto è per tre album, i primi due non vendono bene. Si arriva al 1975, l’ultima chance. Se l’album va male lo aspetta un futuro da promessa mancata. All’orizzonte c’è un solo concerto. Durante le registrazioni cambia produttore, due membri della band lo abbandonano, nella E Street Band entrano il suo vecchio amico Little Steven Van Zandt, Roy Bittan e Max Weinberg. Bruce vuole un suono che ricordi il Wall of Sound di Phil Spector: sono session interminabili, estenuanti. Ma le sliding doors girano per il verso giusto e il risultato è «Born to Run», uno dei dischi più importanti della storia del rock.
Non è un caso che «Born To Run» sia anche il titolo della sua autobiografia. In realtà da quel momento non tutto sarà così facile. Neanche dopo l’esplosione di «Born in the Usa», l’album che gli consegna lo status di super star e una popolarità che ha raggiunto ormai i quattro angoli del mondo. Bruce è un uomo inquieto incapace di fare compromessi, di cavalcare il successo riproducendo stilemi collaudati: i suoi fan sono abituati a svolte impreviste, momenti di pausa, avventure in altri ambiti, dischi dolenti e oscuri, prove acustiche. Ed è proprio la sua coerenza, la sua naturale empatia, la capacità di fare del rock’n’roll uno strumento di redenzione che lo hanno reso un leader morale.
C’è una cosa che ha accompagnato Springsteen in tutta la sua carriera: la sua irresistibile capacità di performer, uno dei più grandi mai apparsi su un palcoscenico. Non sbaglia chi dice che il mondo si divide tra chi ha visto il Boss dal vivo e chi no: i suoi concerti sono leggenda, un rito laico della durata minima di tre ore abbondanti (in Italia ha superato quattro ore) in cui c’è una comunione totale tra la platea e il palco. La E Street Band è una delle più entusiasmanti backing band della storia, dotata di un suono unico e dalla straordinaria capacità di dare il proprio suono a qualsiasi pezzo venga suonato. Bruce celebra questo rito con la forza di chi sa che il palcoscenico è l’unico posto in cui si senta davvero al sicuro. E per chi l’ascolta è cibo per l’anima.