La fake news del Simonino: una mostra al Diocesano ripercorre mito e pregiudizio
Perché un culto come quello del Simonino è durato tanto a lungo? Si potrà cercare di scoprirlo attraverso la mostra che il Museo Diocesano Tridentino inaugura venerdì 13 dicembre alle 18 e che resterà aperta fino al 13 aprile 2020.
Un omaggio iconografico e storico-critico a una vicenda di culto che è anche una riconosciuta fake news della storia, ma che fino al 1965 vide vivo e diffuso il culto del piccolo Simone, ben al di là dei confini trentini. Al secolo Simone Lomferdorm, figlio di un conciapelli, il Simonino era un bambino di poco più di due anni scomparso nella notte del giovedì santo del 1475. Tre giorni dopo fu ritrovato il suo piccolo cadavere nella roggia vicino all’abitazione di una famiglia ebrea di Trento. L’accusa di aver sacrificato il piccolo in un rituale colpì subito la comunità ebraica. I presunti responsabili furono costretti a confessare sotto tortura e il piccolo divenne oggetto di culto da parte della comunità cristiana.
La mostra del Diocesano, allestita al piano terra e al secondo piano, cerca di gettare una nuova luce sulla vicenda, attraverso fonti iconografiche, documenti, video, foto d’epoca, oggetti di culto, manoscritti. L’invenzione del colpevole. Il caso di Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia è il significativo titolo del percorso espositivo. La direttrice, Domenica Primerano, non nega l’attualità dell’approccio e del tema: «Una fake news ante litteram, radicata, oggetto di propaganda, strumentalizzazione contro gli Ebrei, che ha prodotto importanti opere d’arte per celebrare il culto del Simonino. Un episodio storico che nasce dalla volontà di creare un nemico, da pregiudizi, calunnie e stereotipi».
L’esposizione coinvolge emotivamente, perché non è solo arte o storia, la propaganda antiebraica. Lo storico Emanuele Curzel precisa: «La memoria storica del Simonino è un macigno. Perché purtroppo molti, anche in Trentino, fanno fatica a vedere la connessione tra quella vicenda e la Shoah. Per anni la Chiesa è stata responsabile della costruzione dello stereotipo negativo dell’ebreo, un nemico interno». Anche l’assessore comunale alla cultura, Corrado Bungaro, riconosce: «Gli Ebrei hanno un conto in sospeso con Trento. Per cinquecento anni la nostra città è stata nella loro black list. Questa mostra contribuisce a rendere giustizia».
«Gli atti dei processi contro gli Ebrei, ritenuti responsabili della morte di Simonino – aggiunge il giurista Diego Quaglioni – furono tradotti in tedesco, in volgare italiano, in volgare yiddish dal latino, per propagandare lo stereotipo antiebraico».
Dal punto di vista artistico l’iconografia (quadri e incisioni, ma anche tavolette votive presenti in mostra) ritrae il bimbo, presunto oggetto di sacrificio umano, in due immagini prevalenti. Le spiega Aldo Galli, storico dell’arte e docente all’Università di Trento: «In molte opere Simonino è rappresentato come Cristo risorto dalla passione. In altre c’è la scena dell’assassinio, come un martirio. Il piccolo Simone è stato proposto come un piccolo Cristo in croce. È una mostra necessaria e coraggiosa. Serviva una mostra e non bastava un libro perché l’immagine ha contato tantissimo nel culto del Simonino, soppresso solo 54 anni fa».