«Salire in montagna contro la modernità» Oggi Mercalli a Comano
«Salire in montagna». Per viverci. Almeno 6-7 mesi l'anno. Luca Mercalli è convinto che lo faranno sempre più persone. Per sfuggire al caldo e all'invivibilità delle città, soffocate dagli effetti del cambiamento climatico. E incentivati dal fatto che molti lavori stanno diventando «smart» e la pandemia da Covid-19 ci ha messo di fronte a un'evidenza: in molte professioni bastano uno schermo e una connessione per lavorare, studiare, fare l'università. Migrazione di ritorno, quindi, dopo che negli anni sessanta è iniziato lo spopolamento del versante italiano delle Alpi (con rare eccezioni, come l'Alto Adige-Südtirol, e il Trentino fino a pochi anni fa): stavolta i piccoli borghi, anche appenninici, secondo il climatologo e meteorologo piemontese (laurea a Chambéry, in Savoia, presidente della Società italiana di Meteorologia), rimasti desolati o con poche case abitate soprattutto da anziani, verranno ripopolati.
Mercalli, noto volto tv, classe 1966, scrittore, giornalista, divulgatore scientifico, ne parlerà oggi, mercoledì 12 agosto, alle 17 alle Terme di Comano, nell'ambito della rassegna «Incontri d'Autore», sollecitato dalle domande del direttore dell'Adige Alberto Faustini. E parlerà proprio del suo libro «Salire in montagna» che uscirà a inizio autunno.
Dottor Mercalli, lei in montagna è già "salito". Per viverci, intendiamo.
«Certo. Tre anni fa. Ho comprato e ristrutturato secondo i canoni dell'architettura green Casaclima una vecchia grangia, un granaio-casa di contadini di tre secoli fa. È a 1.650 metri di altitudine, in un borgo di venti case, nel comune di Oulx, sulle Alpi Piemontesi. Ci vivo più di metà anno. E da lì lavoro. Scrivo, intervengo a dibattiti, faccio dirette e registro trasmissioni televisive. In questi giorni, in cui nella mia città, Torino, si boccheggia a 35 gradi, qui si vive con non più di 25 gradi. Una situazione invidiabile. Se ci aggiungiamo che con il lockdown si è capito che si può fare molto da remoto e che il Covid senza vaccino ci spinge al distanziamento, sono convinto che molti torneranno a popolare i piccoli paesi di montagna abbandonati, soprattutto i giovani che vi troveranno anche prezzi abbordabili. E internet li ricompenserà di isolamento, privazioni culturali e mancanza di relazioni che fino a qualche lustro fa erano il prezzo da pagare se si voleva vivere in montagna».
Secondo lei questo ritorno alla montagna va guidato dalla politica o lasciato libero?
«Assolutamente va programmato e guidato dalla politica, perché non sia caotico e non porti danni urbanistici. Borghi in cui ormai vivono cinque persone hanno naturalmente bisogno di nuove fognature, nuovi sistemi di raccolta di rifiuti. Deve esserci una programmazione nazionale, ma non ho molta fiducia. La strategia nazionale per le aree interne è rimasta piena di parole vuote. Non basta l'ecobonus energetico che c'è anche in pianura, servono incentivi».
Questa «transumanza» umana al contrario, dalle pianure alle «terre alte» è purtroppo figlia non di una nuova coscienza, ma di effetti climatici che nascono da una cattiva gestione del Pianeta
«Purtroppo sì. L'altro giorno a Baghdad, che è una metropoli dall'alta pressione demografica, c'erano 52 gradi. Finché capita un giorno all'anno, non è un problema. Ma sono temperature che stanno diventando strutturali. I ghiacci si sciolgono. Anche il permafrost. Ma lì non andrà a vivere nessuno, perché il terreno è paludoso. Il livello dei mari si alza di 3,5 millimetri l'anno. A fine secolo, nell'ipotesi più favorevole, se si rispetteranno i canoni dell'Accordo di Parigi, i mari saliranno di 40 centimetri e Venezia, il Delta del Po e le spiagge romagnole finiranno sott'acqua».
Eppure non mancano i «negazionisti». Come se lo spiega, da uomo di scienza?
«Perché c'è sempre chi non ci vuole credere, come per il Covid-19. Ciò che crea responsabilità e fastidio spesso si nega. Abbiamo arsenali di dati disponibili, rispetto al passato, ma si gioca sull'ignoranza. Le fake news hanno presa. Ci dicono che ha già fatto così caldo in passato. Invece no. Ce lo dice la vostra mummia Ötzi. Che è rimasta sotto il ghiaccio per 5.000 anni ed è uscita 30 anni fa».
In Trentino l'ambiente è tutto sommato sano, se qui in vent'anni l'orso ha ritrovato il suo habitat naturale? E che ne pensa delle cicliche polemiche estive sulla presenza degli orsi problematici?
«Il Trentino è un modello di gestione equilibrata della natura e della montagna. Lo vedo ogni volta che ci vengo. Il paesaggio, l'architettura, la cura e il rispetto che ci sono. Quanto all'orso M49, non sono uno zoologo ma dico solo due cose: è più antico di noi, era qui prima dell'homo sapiens, quindi ha più diritti. E di pericoli ne abbiamo tanti, a cominciare dall'inquinamento, dal clima impazzito. L'accanimento preventivo contro un orso mi sembra esagerato. Allora dovremmo farlo anche contro dieci milioni di italiani che sono potenziali delinquenti
».