Trecento anni fa moriva Jacopo Antonio Pozzo, l'architetto "degli altari": oscurato dal fratello Andrea, ma ora rivalutato
Il grande «architetto degli altari» moriva tre secoli fa, presso il convento dei frati carmelitani di Venezia.
Esattamente il 31 gennaio 1721 Jacopo Antonio Pozzo, architetto e scultore trentino, fratello del più noto Andrea Pozzo (entrambi figli di Jacopo Pozzo e Lucia Bazzanella), finiva la sua vita terrena. Le sue opere gli sopravvivono e ancor oggi sono oggetto di studio, nuove attribuzioni, rivalutazione.
Jacopo Antonio Pozzo, nato a Trento nel 1645 (tre anni dopo il fratello, gesuita), è passato alla storia come uno dei più grandi architetti d’altare. Riconosciuta all’unanimità la sua abilità di intagliatore ma progressivamente rivalutata è la sua opera di progettista e fine disegnatore. Un artista barocco originale, che si discostò progressivamente dai modelli seguiti dal fratello Andrea.
Tra il 1664 e il 1666 fu novizio nel convento dei carmelitani scalzi alle Laste di Trento, dove produsse le sue prime opere: un altare ma anche statue lignee per la sacrestia. Un suo altare è presente anche nella Chiesa di Lasino. In Trentino ci sono sue opere anche a Mezzolombardo e Civezzano. Dove gli è stato attribuito anche un crocifisso in legno.
Siamo nel periodo pre-borrominiano e con richiami al Bernini, i massimi nomi dell’epoca e grandi protagonisti, spesso contrapposti, del barocco di Roma. Più dinamico e di respiri luminosi il napoletano Bernini, più rigoroso e incline al decorativismo il ticinese Borromini. Venezia la patria d’elezione di Jacopo Antonio Pozzo. Ma fu attivo in tutto il territorio triveneto: Venezia, Verona (Santa Teresa degli Scalzi), Treviso e Padova (chiese dei Carmelitani), Rovigo, Bolzano (dove, nel 1710, progettò l’altare delle Grazie nel coro del Duomo), Udine, forse Trieste (suo il progetto per Santa Maria Maggiore? I critici e storici dell’arte ne sono piuttosto convinti).
A Pozzo si deve la facciata della chiesa di San Stae a Venezia, commissionata dalla famiglia Manin. E dopo la morte di Baldassare Longhena, architetto della Serenissima, si occupò anche della chiesa di Santa Maria di Nazareth. Fu più volte a Roma: sicuramente dopo il 1680 e nel 1692. Nella città eterna ebbe modo di sperimentare modelli e subire influenze berniniane e borrominiane.
I carmelitani e i Manin furono i principali committenti di Jacopo Antonio Pozzo, noto anche con il nome di Fra’ Giuseppe di Sant’Antonio. Firmò diversi progetti architettonici per conventi carmelitani. Si discostò dai modelli estetici del fratello, con un’impronta più scenografica, dinamica e pittorica. Un forte cromatismo e gusto per il colore caratterizza i suoi altari. Quasi disegni trasposti su marmo. E il disegno fu la sua grande cifra operativa: circa duecento sono custoditi nel corpus conservato presso l’Archivio dei padri carmelitani di Milano, studiato alcuni anni fa dalla Soprintendenza per i beni storico-artistici della Provincia di Trento («I disegni di Jacopo Antonio Pozzo, 2008»).
Lessico artistico, il suo, espressione di una vivace inventiva tipicamente barocca: linee spezzate, traiettorie distorte, capacità di dare movimento agli angoli e profondità agli sfondi, alternanza di concavi e convessi, putti, specchiature marmoree, mensole, cornici, consolle, edicole, reliquiari, tabernacoli, frontoni, colonne tortili, spiraliformi, persino cupole caratterizzano i suoi ricchi altari marmorei. Senza lesinare stucchi e colori.
Insomma, gli elementi delle architetture più grandi e scenografiche riportati alla scala, necessariamente minore, ma non troppo, degli altari. L’architettura come un disegno scenografico su pietra, fino agli schemi tardobarocchi. Ma Jacopo Antonio Pozzo progettò anche armadi liturgici in legno, rivestimenti per sagrestie. Suo marchio di fabbrica i raggi dorati utilizzati per rendere la luce divina. Un architetto-altarista di formazione settentrionale che «sciacquò i panni» nel Tevere, dando origine a un riuscito mix di modelli nordici e romani. Con l’obiettivo di creare nello spazio religioso, come in quello privato-residenziale (fu anche autore di portali di palazzi nobiliari e di sale di architetture civili), un inconfondibile ed elegante effetto di meraviglia e stupore.