Melozzi, il maestro dei Maneskin: "A Sanremo abbiamo fatto saltare il banco"
SANREMO - Un milione e trecentomila visualizzazioni in ventiquattro ore, cinquantaduesimi nella classifica globale e chiaramente primi in Italia. Dietro al successo sanremese dei Maneskin vi è anche il direttore d'orchestra Enrico Melozzi.
Il maestro Melozzi, non è il solito direttore d'orchestra di Sanremo, seppur può vantare un'ottima esperienza (è alla sua quinta edizione), il palco dell'Ariston è per lui una parentesi fra le sue mille attività a cui non vede l'ora di tornare. Compositore e produttore discografico, ideatore e direttore con il violoncellista di fama internazionale Giovanni Sollima del progetto 100Cellos (un ensemble composto da una miriade di violoncellisti), direttore dell'Orchestra Notturna Clandestina, ideatore del format innovativo «Rave di Musica Classica»; solo per citare i suoi principali progetti. Trionfa alla 71° edizione del Festival di Sanremo Melozzi detto Melox, definito da Morgan il nuovo Hector Berlioz, il famoso compositore francese dell'Ottocento.
Questa sua vincita la dedica, come scrive sui social di getto appena sceso dal palco: «Ai contrappuntisti, ai musicisti, ai cantanti d'opera, ai direttori d'orchestra, alle maestranze, agli studenti di musica, a tutti i coraggiosi che hanno scelto la strada più lunga».
I Maneskin non si aspettavano di vincere, tu l'avevi intuito?
«Io il podio sinceramente me l'aspettavo, nell'aria giravano voci che stavamo spaccando».L'asso nella manica dei Måneskin è stato avere un Melozzi alla guida, parlaci del tuo incontro con loro.
«Il tramite è stato il produttore Fabrizio Ferraguzzo che ha proposto me. Ferraguzzo dice che chiamano lui per stare tranquilli e lui chiama me perché deve stare tranquillo lui, questo è il suo assioma. Ho proposto tre orchestrazioni di questo pezzo: una più "'Melox", una morbida ed una più easy. I Maneskin fra le tre hanno scelto quella che mi apparteneva di più, quella Melox. Ho imparato in questo lavoro a mettere da parte l'ego, ma in questo caso evidentemente la mia visione corrispondeva alla loro».
Quest'anno ha trionfato il rock. È una vittoria memorabile, avete sovvertito il sistema. «Assolutamente, abbiamo sovvertito il sistema e abbiamo pure stravinto perché i dati del televoto sono imbarazzanti, li abbiamo proprio stracciati. Questo è un segnale che l'Italia si è proprio rotta del solito Sanremo che ristagna da secoli e forse dopo un anno vissuto in queste condizioni c'era forse proprio anche la voglia di far saltare in aria la scacchiera con tutti gli scacchi, una voglia di un cambiamento immediato».
Del rock dei Maneskin cosa ne pensi? «Mi piace tanto, quando l'ho sentito la prima volta già avevo tutto in mente. Mi è entrato subito è un genere che risuona in me, trovo questa musica molto vicina ai miei gusti. Loro poi lo fanno bene, suonano benissimo che dire sono straordinari».Quanto lavoro c'è dietro all'esibizione di una serata?«Un macello... non vorrei essere nei panni del maestro de Amicis che fa tutto il resto, io quest'anno ho fatto due canzoni ma già mi sembrava di morire. Per non parlare degli orchestrali che si devono studiare 160 brani, quindi già solo questo ti fa capire il livello tecnico che c'è dietro».
Vincere quest'anno con il Teatro dell'Ariston vuoto ti ha tolto un'emozione o vincere in tempo di pandemia è una doppia vincita?
«Secondo me è una doppia vincita anche se un po' di emozione te la toglie».
Il tuo obiettivo sanremese lo hai raggiunto, il prossimo?
«Adesso il mio obiettivo è riformare il mondo della musica lirica che è passato dall'essere il mondo dell'attualità all'essere un museo dove gli uomini contemporanei vanno a vedere come gli uomini del passato si relazionavano alla musica. Un obiettivo quasi impossibile, ma a me piacciono le sfide impossibili che si fondano sull'irrealizzabilità come i cento violoncelli o come appunto vincere Sanremo».
Per riformare il mondo della lirica da dove si deve iniziare? «Bisogna rimettere in ordine la scala dei valori: i registi devono essere ridimensionati nel loro ruolo, dopo il compositore, il librettista, i cantanti e i musicisti dell'orchestra. E la creatività non deve essere limitata solo all'allestimento com'è ora, ma innanzitutto è necessario programmare opere nuove».
Vedremo quindi una tua opera alla Prima della Scala? «Lo spero, la missione è molto più impegnativa ma ci proverò».
Sarà il sequel del Don Giovanni di Mozart a cui stavi lavorando?
«Il sequel del Don Giovanni è già pronto e se Dio vuole e siamo fortunati riusciremo a metterlo in scena il prima possibile».
Ritornerai in Trentino Alto Adige per lo spettacolo di Paravidino che hai musicato? «Non so ancora, ma salutami lo splendido Teatro Stabile di Bolzano a cui sono molto legato».