Sono andato a teatro ed ho (ri)visto la luce: nelle Notti Barbare di Hervé Koubi
Venerdì ha riaperto la stagione di danza: una serata magica, anche solo per il sollievo del pubblico nel poter essere di nuovo in sala, e vedere dal vivo la performance, che è fatta di corpi, movimento, buio e sudore
TRENTO. Per carità, tenetevi il vostro divano, Netflix, Amazon Video, lo streaming. Io invece sono guarito: mi è bastato – venerdì sera – tornare in un palchetto del Teatro Sociale di Trento per vedere il superbo spettacolo di danza di Hervé Koubi: il movimento, i copri, il sudore, l’odore dei velluti e degli stucchi, la polvere del palco, le luci e… il pubblico.
Era molto attesa, questa “ripresa” dal vivo. La stagione InDanza del Centro Santa Chiara è iniziata con un sold-out (vabbé, con il teatro a capienza ridotta, ma comunque 278 biglietti andati venduti in poche ore). E alla prima di venerdì si respirava veramente un’aria di sollievo. “Ci voleva”, ha commentato sospirando – alla fine dello show - la giovane spettatrice davanti a me. Ci voleva eccome! Come ci voleva la socialità e la poesia del teatro: prima e dopo, durante: vedersi nel foyer, salutarsi, sorridersi sotto le mascherine (ma con gli occhi sfavillanti). In una parola: la normalità.
Lo ha detto con una visibile emozione Renato Zanella, il consulente della stagione di danza (che alla fine non è, come si temeva pregiudizialmente, un restauratore da Lago dei Cigni piume e lustrini): giustamente ha ringraziato il personale del Centro Santa Chiara, il direttore Nardelli in primis (peccato non sia salito anche lui sul palco).
Poi un breve saluto dell’assessore provinciale alla cultura Mirko Bisesti. E una breve ma densa presentazione dello spettacolo da parte del coreografo. E’ stato istruttivo, quindi, vedere subito dopo l’assessore leghista (applausi tiepidissimi, di cortesia, dal pubblico), questo giovane francese di padre ebreo e madre musulmana, parlare al microfono di Africa, Europa, della nostra patria comune che è il Mediterraneo. La compagnia di Koubi ha due sedi: Cannes (dove migliaia di milionari passano le ferie sugli yacht) e a Calais (dove migliaia di disperati migranti hanno vissuto per anni in una baraccopoli cercando un modo per passare la Manica).
I danzatori di Koubi (tredici uomini) erano danzatori di strada, scelti in Algeria, ora sono “i miei fratelli ritrovati”, dice il coreografo sul palco. E la parola “fratelli” è pesante come un macigno: in fondo, noi spettatori non possiamo dimenticare che mentre siamo seduti sulle poltroncine di velluto, nelle stesse ore ci sono “fratelli” che rischiano la vita nel mare per sfuggire ad un destino tragico. Oppure, per chi vuole vederla al contrario, come ha detto un noto politico poche ore fa “gli italiani rinchiusi in casa dal coprifuoco mentre questi possono attraccare liberamente ai nostri porti”. Un rovesciamento di prospettiva istruttivo: i migranti sono i privilegiati, secondo questa logica.
Mi direte: sei un buonista. E io vi dico: se non eravate al Sociale vi siete persi una cosa molto interessante. Prima e oltre lo spettacolo, vi siete persi un atto di fratellanza e cultura. Perché spesso il teatro compie questo miracolo, parlandoci di cose fondamentali, magari senza dire una parola (come nel caso della danza). Puoi sbraitare, puoi compulsare facebook sullo smartphone, puoi indignarti, ma nulla è potente come l’arte, come il teatro, come la posia (per c hi vuole farsi toccare il cuore).
Lo spettacolo: per la compagnia era il primo dopo un anno di stop, e tanto quanto erano emozionati gli spettatori, lo erano i danzatori. “Les nuits barbare” è una grande allegoria, una “sacre du printemps” arruffata e oscura, a tratti apparentemente disordinata e che si affida più al gesto irrituale che alla coreografia metronimica. In qualche momento realizza l’intento, evocando con efficacia la sacralità di una ordalia guerriera (uomini seminudi, lame, formazioni, intrecci di corse e sollevazione di corpi). A tratti sembra esibire invece solo la tecnica, l’acrobazia, che può anche stupire e farsi ammirare, ma talvolta va a scapito della narrazione.
Comunque un trionfo: in tutta Italia le date sono annullate, il Santa Chiara è il primo ente teatrale (dopo La Scala) a ospitare spettacoli dal vivo. Ed in arrivo a breve ci sono altri due spettacoli di danza che promettono molto: il 22 e il 23 Alessio Carbone e i giovani talenti dell’Opera di Paris (due programmi distinti, e qui sì che troviamo i classici, dalla Giselle al Lago dei Cigni, e pure una coreografia dello stesso Zanella). Poi, il 30 maggio, la «Bayadére – Il regno delle ombre» del Nuovo Teatro della Toscana, balletto di Michele di Stefano. Se non sapete chi è di Stefano, googolatelo: merita.