I grandi del rock e le loro copertine «alpine»: la mostra a Palazzo Roccabruna
Dai Led Zeppelin a Bob Marley, dai Depeche Mode ai Cccp, quando la montagna ha influenzato le cover di dischi storici. Con qualche sorpresa incredibile
TRENTO. I grandi del rock, Led Zeppelin, Rolling Stones, Deep Purple, Yes, Eagles, al fianco di leggende come Joan Baez, Diana Ross, Roger Water, dei Pink Floyd, Neil Young, Bob Marley, Elton John senza dimenticare Radiohead, Echo & The Bunnymen, Depeche Mode, Chemical Brothers e, sul fronte italiano, anche Guccini e Cccp. Sono loro alcuni dei protagonisti della mostra «Rock The Mountain! La montagna nell'iconografia della musica pop» che si è inaugurata ieri nelle sale di Palazzo Roccabruna nell'ambito di MontagnaLibri.
Una mostra, a cura del Museo Nazionale della Montagna di Torino e in collaborazione con la Camera di Commercio di Trento, che propone un'ampia selezione di dischi pubblicati dagli anni '70 al 2020, per offrire uno sguardo nuovo sulle terre alte e un omaggio alla cover art nel segno dell'incontro tra immagine montana e industria musicale internazionale. Sarà esposta un'ampia selezione di dischi per offrire uno sguardo nuovo sulle terre alte e un omaggio alla cover art.
Tante le curiosità, per gli appassionati di rock ma non solo, che arrivano in questo incrocio creativo fra sette note, arte e montagna come ci racconta in questa intervista Daniela Berta direttrice del Museo Nazionale della Montagna di Torino.
Daniela Berta, da dove l'idea di «Rock The Mountain!»?
«La scintilla è arrivata nella primavera del 2019, ad un anno dal mio arrivo alla direzione del Museo della Montagna. In quei pochissimi momenti in cui riesco a dedicarmi alle collezioni e al patrimonio che abbiamo, fatto di oltre cinquecentomila beni, ci siamo imbattuti in un manifesto meraviglioso: la locandina del tour europeo del 1976 dei Rolling Stones dove i rocker inglesi appaiono in abiti sgargianti con la totemica sagoma del Cervino sullo sfondo. Da lì ho iniziato a pensare di esplorare il mondo del rock e della musica in generale per comprendere la presenza dal punto di vista iconografico, dell'immagine della montagna legata alla commercializzazione delle varie produzioni».
Come si è concretizzata l'esposizione?
«L'idea era quella di dare un taglio pop, contemporaneo, in grado di attirare un pubblico trasversale e non legato solo alla passione per la montagna. Inizialmente pensavo di trovare una decina di esemplari interessanti ma in realtà la mia prospettiva era sbagliata. Ad oggi, grazie anche al contributo del giornalista e critico musicale Paolo Ferrari, la collezione conta circa centocinquanta vinili ma continuiamo ad acquistarne di nuovi in una sorta di work in progress. Abbiamo diviso la mostra in sei sezioni espositive: Visioni, Scenari, Esplorazioni, Sport, Colonne sonore e Cervino».
Copertine di dischi ma non solo.
«Si, l'esposizione propone anche manifesti pubblicitari di album e tournée, che concorrono alla costruzione di un viaggio attraverso i generi musicali contemporanei e i rispettivi immaginari di riferimento sviluppatisi in simbiosi con essi: dal rock al soul, dal folk al metal, dall'elettronica alla disco music, fino alla ricerca e alla sperimentazione d'avanguardia».
Cosa vogliono esprimere le «album art» montane?
«Il concetto di montagna si lega ai concetti di sublime, di altrove, di purezza, vincolati anche oltre a questa dimensione musicale, all'immagine pubblicitaria in generale. In questo caso dipende anche dai generi musicali e da quale sia la relazione fra l'artwork della copertina del disco e il messaggio dei testi in esso contenuti. Un legame non sempre esistente: spesso infatti c'è uno scollamento fra i due piani ma in altri casi, come ad esempio per la musica hard o metal, questa correlazione epica fra uomo e montagna è maggiore. Ci sono poi i casi più fantasiosi e liberi dal punto di vista dell'immaginazione creativa legati alle band psichedeliche degli anni '70 con la rappresentazione di viaggi onirici in cui la montagna diventa uno scenario surreale: c'è una copertina che rappresenta il Signore degli Anelli in una in paesaggio campestre - montano».
Andiamo nel particolare scomodando dei mostri sacri come i Led Zeppelin.
«E' del 1971 il misterioso Eremita su roccia dei Led Zeppelin che non si trova sulla copertina di "Led Zeppelin IV", in cui si raffigura un contadino anziano che trasporta sulle spalle una fascina di legna, ma nell'art work interno di questo folder. In questo caso in mostra viene esposta l'intera illustrazione in verticale quindi in doppia misura rispetto ad una cover normale. Sul fronte rock impossibile non citare la copertina dei Deep Purple con la celeberrima elaborazione del Monte Rushmore che appare sul disco "In Rock"».
Fra i nomi che non ti aspetti i Village People formazione cult americana della dance.
«Sì, ci sono anche loro, uno dei gruppi più iconici della dance ma le sorprese si legano anche ad altri nomi piuttosto noti del pop e del rock come, per citarne alcuni, Supertramp, Greateful Dead, Moby, Goldfrapp, Chemical Brothers, Jamiroquai, Kanye West, Elvis Costello, Noel Gallegher degli Oasis e Tinariwen».
E c'è pure la leggenda del reggae Bob Marley.
«Sì, abbiamo una piccola sezione dedicata al reggae un genere che magari non ti immagini proprio legato alla montagna. In questo caso di Bob Marley troviamo uno dei suoi capolavori "Uprising". Giamaicano è anche il noto produttore Lee "Scratch" Perry che ha ambientato una cover davvero super kitsch fra le montagne svizzere in cui appare in una cornice dorata barocca vestito da re!».
Qual è per lei la copertina più ispirata?
«Direi una serie di copertine disegnate dall'artista britannico Roger Dean per la band degli Yes: cinque cover una più suggestiva dell'altra con delle fantasie strepitose».
E quella più bizzarra o "trash" che dir si voglia?
«Non posso che citare quella di un disco del musicista inglese Rick Wakeman, per anni proprio con gli Yes, in un' improbabile posa che lo raffigura disteso su una tastiera con una tuta Adidas rossa sullo sfondo dell'anfiteatro del Cervino. Un'immagine davvero orripilante che però si fa indubbiamente notare».
L'elettronica è anche nelle immagini di un gruppo imprescindibile della new wave come i Depeche Mode.
«Credo che la cover dei Depeche Mode del loro "Costruction Time Again" sia forse la più evocativa di tutte con un possente fabbro sullo sfondo del Cervino. Qui c'è uno studio notevole delle proporzioni da parte degli autori, il fotografo Brian Griffin e l'art designer Martyn Arkins, delle relazioni fra l'uomo, l'ambiente e le luci».
Spazio per la musica italiana nella mostra?
«Ci sono diverse copertine della scena tricolore, raccolte nella sezione "Esplorazione", come quelle del Banco del Mutuo Soccorso con "Transiberiana" , dei Modena City Ramblers di "Terra e libertà" e ancora di Cccp, Francesco Guccini con "L'ultima Thule" insieme a Colapesce e Dimartino che nei primi mesi di mostra erano quasi sconosciuti ed ora, dopo Sanremo, sono notati da tutti».