Arriva Van De Sfroos, dal folk padano al multietnico: «Le radici sono importanti, ma l’albero deve mettere fuori la testa»
Sabato sul palco con una band di sette elementi, per suonare il nuovo album «Maader Folk», fra Caribe, reggae e arpa celtica, il cantautore di Como torna in pista
TRENTO. E' quella del 12 febbraio all'Auditorium S. Chiara, alle 21 con biglietti ancora disponibili, una delle prime date del tour di Davide Van De Sfroos che si apre proprio dalla sua Como. Un live che il cantautore lombardo, particolarmente amato dal pubblico trentino, ha plasmato sulle canzoni del suo ultimo lavoro "Maader Folk" che ha spezzato un lungo silenzio discografico. In questa intervista Van De Sfroos ci svela la genesi di questo disco e la sua voglia di raccontarsi in musica.
Van De Sfroos, "Maader Foolk" è uscito a sette anni di distanza dal disco precedente: aveva bisogno di far decantare le canzoni come si fa col buon vino?
"I brani di questo disco hanno attraversato un bel po’ di tempo perché non sono nati tutti a ridosso dell’album, alcune sì ma la maggior parte risale a cinque, sei o anche dieci anni prima perché magari non erano entrate in un altro album ma erano lì. Nel frattempo si sono arricchite, sono state cambiate, hanno avuto l’arrangiamento giusto e una volta registrate hanno dovuto attendere i tempi della pandemia perché il cd è uscito più di un anno dopo rispetto alla data prevista".
Fra le canzoni il gospel di "Oh Lord, Vaarda Gio" con Zucchero Sugar Fornaciari.
"In tutto questo tempo abbiamo avuto l’epifania della canzone “Oh Lord, vaarda gio” che non era prevista. Grazie a questa pausa il mio amico Lorenzo Vanini ha avuto tutto il tempo di arrangiarla per conto suo e ha fatto un lavoro così suggestivo che ci siamo resi conto non potesse mancare nella tracklist. E’ diventata anche un singolo in cui sentiamo la voce di Zucchero, in dialetto emiliano, e vediamo Mauro Corona nel video: insomma è una canzone piena di tante cose anche da parte di altri".
Cosa ne è uscito dal punto di vista dei suoni?
"Ho sempre cercato di non arenarmi: il mio stile, la mia poetica sono abbastanza riconoscibili ma è bello essere liberi di potersi muovere all'interno della musica e di non rimanere in un ghetto. Mi piace misurarmi con qualcosa che può sfociare nel rock, nel blues, nel reggae, nei suoni celtici o delle Antille. Abbiamo l’apporto di contrabbasso e basso di Attilio Zanchi che è un grandissimo jazzista che si è divertito tantissimo a fare qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare e ci ha dato uno sprint incredibile".
C'è anche voglia di sperimentare?
"E’ un disco segnato dalla curiosità, dalla ricerca, soprattutto da canzone a canzone perchè ognuna è un mondo che merita la sua colonna sonora. Poi registrando in un agriturismo, ti fai trasportare anche dal paesaggio, dall'emotività locale. Un pezzo come “El Vagabuund” parte quasi in sordina e poi diventa una sorta di pizzica, di banda e di fanfara di strada. “La Vall” sembra fatta di niente ma forse è quella più ricca di suoni con strumenti che arrivano anche dal Borneo oltre a flauti e viole. “Il mitico Thor” è molto leggera come arrangiamento ma c’è l’arpa celtica".
Come la racconta questa "madre del folk"?
"Vuole evocare quello di cui abbiamo bisogno: siamo parte di questo mondo, figli di una madre terra che a volte viene trattata molto male. L'immagine sulla copertina mi ha dimostrato che è possibile disegnare un sogno Questa figura si è manifestata nel mio subconscio una notte in cui avevo un po’ di febbre da covid. Questa visione mi ha confortato tanto e mi ha messo di fronte a una ripartenza per tutte quelle cose come natura, simbologia, animali, sciamanesimo, totem, sogni, visioni, poetica interiore ed esteriore, antropologia) che mi sono sempre state molte a cuore. La madre folk è una madre universale e multietnica".
Lei, da sempre, canta le sue radici che non sono, come purtroppo accade spesso, simbolo di chiusura ma di speranza per un futuro che non dimentica il passato.
"Le radici sono importanti ma se l'albero non ha il coraggio di uscir fuori resta sotto terra. Quindi nel mio caso è stata la multietnicità a farmi venir voglia di cantare il mio luogo per esportarlo. All'inizio erano in pochissimi a scommettere qualcosa su canzoni cantate in un dialetto così strano come il laghée. Io non mi aspettavo certo di diventare mainstream, e non lo diventerò mai ,ma non immaginavo nemmeno di suscitare tanto interesse. Vuol dire che c'è un’Italia che si ascolta, che si vuole bene proprio per via delle differenze".
Che live si deve aspettare il pubblico trentino?
"Al mio fianco una band di sette elementi. Maader Folk verrà suonato integralmente ma verranno inseriti anche altri pezzi a rotazione, a volte in questo tour ci sarà un momento più acustico altre volte no, ma ci sarà sempre spazio anche per i brani del passato che tutti si aspettano".