Matteo Boato, fra barche volanti e case danzanti, la mostra a Palazzo Roccabruna fa il pieno di spettatori ed emozioni
Il pittore trentino, molto amato dal pubblico, torna dopo due anni nella sua città: attenzione però, quello che si vede non è quello che sembra, e pure le imbarcazioni sono metafore
TRENTO. Si intitola «Aqua» il nuovo ciclo pittorico di Matteo Boato, che dopo due anni torna ad esporre a Trento, nella cornice di Palazzo Roccabruna.
Tante le persone che hanno voluto partecipare venerdì al vernissage, al punto che si sono dovuti organizzare diversi turni per la visita alla mostra. Segno anche dell’amore del pubblico per un artista capace di coniugare (anche) grazie alla sua ampia ed eclettica formazione (chitarrista classico, ingegnere, bioarchitetto), musicalità, rigore e creatività.
Quaranta opere che si snodano nelle cinque sale al primo piano di Palazzo Roccabruna per raccontare un nuovo modo - inaspettato - di guardare alla realtà esteriore, ma soprattutto a quella interiore. Il disorientamento generato dalla pandemia, ma soprattutto il dolore per una grande perdita, quella del padre, lungi dall'indurre alla chiusura e all'incomunicabilità, hanno portato invece a un'esplosione di colori e di vita.
Un itinerario ben delineato da Margherita de Pilati, responsabile della Galleria Civica, curatrice dell'allestimento, nel quale figurano diverse architetture di importanti città - Venezia, Trento, Innsbruck, Milano, Bolzano, Verona - sulle quali si impone il ciclo dedicato alla citta di Riga, molto amata da Boato e legata al tema dell'acqua, in quanto situata sul mar Baltico in corrispondenza della foce del fiume Daugava.
Fino ad arrivare al pezzo forte, la coloratissima serie delle Barche: barche veneziane, «senza uomini e non troppo vicine», precisa Boato; serie dedicata a suo padre e realizzata dopo il temporaneo trasferimento a Venezia, città delle origini.
«Sette mesi in acqua, in mare. Nel mare che sento di avere dentro. Sette mesi sopra Venezia che accoglie in cimitero, insieme a Stravinsky e abbracciato dalla laguna saggia e assorta, il mio papà Sandro».
Un percorso segnato dunque dalla presenza dell'acqua, anzi, come ha fatto notare la curatrice della mostra Nicoletta Tamanini, dell'aqua alla latina, o secondo la grafia del dialetto veneto. Che richiamano in entrambi i casi alle origini, alla forza, all'autenticità.
Un ritorno alle radici in un «periodo di vita faticoso», racconta l'artista; un viaggio di «espiazione, liberazione, catarsi», da cui riemergere allargando lo sguardo e la tavolozza cromatica, coniugando in maniera potentemente suggestiva rappresentazione e metafora. L'acqua, affidata alla materica robustezza della pittura a olio; le barche, dipinte con la delicatezza di un acquarello leggero e trasparente, in un interessante scambio tra tecnica e materia. E che suggerisce, appunto, una lettura in chiave simbolica, confermata dalle parole dell'artista: «Le barche non sono barche.
Come in un dipinto un'arancia su un tavolo può rappresentare un amore appena sbocciato o il sole che credo non sorgerà mai più mai poi risorge. Le barche sono il riflesso del mondo, sono per me la realtà tangibile che incontra l'ignoto, la fantasia, l'inconscio».
Sono la libertà del pensiero, l'aerea leggerezza di chi sa stupirsi, di chi riesce a stare a galla e a sorridere, remando con la creatività e il sogno. La mostra, visitabile fino al 2 marzo a ingresso libero, si apre anche alla multimedialità, con un video realizzato da Paolo Pisetta con la collaborazione della danzatrice Claudia Petroni e dello stesso Matteo Boato, nella veste di chitarrista.