De Giovanni: la mia scrittura, le mie idee, Ricciardi (che tornerà) e il tifo per il Napoli
Il grande scrittore sarà a Trento giovedì per «Adige Incontri» e ci racconta i suoi personaggi, il rapporto con la scrittura e ancor di più con la sua città unica e magica
TRENTO. Maurizio de Giovanni, l'autore di culto che ha dato vita a personaggi indimenticabili quali il commissario Ricciardi e i Bastardi di Pizzofalcone, giovedì 7 aprile sarà a Trento. Appuntamento alla Sala della Filarmonica di via Verdi, a Trento, alle 18.30: de Giovanni dialogherà con il direttore dell'Adige, Alberto Faustini.
L'evento fa parte della serie «Adige Incontri» e il grande scrittore napoletano ci fa il regalo di due notizie: il commissario Ricciardi tornerà. E il prossimo libro sarà su Sara, la donna che sa capire i pensieri delle persone.
De Giovanni, come è stato accolto il suo ultimo libro, «L'equazione del cuore», così diverso dai precedenti?
Il libro è saldamente ai primi posti delle classifiche di vendita e ne sono felicissimo. Le dico la verità: non era scontato, essendo io un autore di genere, fieramente di genere, e scrivendo romanzi neri, cosa che tra l'altro non intendo smettere di fare. Sono contento, ma è vero che questa è una storia profondamente diversa.
Non c'è il crimine, prima di tutto. C'è un altro tipo di rivisitazione sentimentale e la storia ha proprio un'altra ritmica dei sentimenti. La storia parla di un nonno, di un nipote e di matematica. E non c'è la classica ambientazione nella mia città, che ha ospitato tutti i miei libri. Ero preoccupato ma per fortuna è andata bene: ancora una volta i lettori si sono dimostrati più intelligenti degli scrittori.
Come mai ha sentito l'esigenza di "uscire" da Napoli?
Non è stato semplice. Sono abituato a raccontare le storie di una città che le offre di continuo. Una città con tanti lati oscuri e tante ferite ma che proprio per questo fa emergere storie, che sono facilissime da cogliere. Questa volta avevo bisogno di qualcosa di diverso, perché è un racconto di solitudini e di silenzio, che non sono facilmente reperibili da queste parti.
A quali ambientazioni ha fatto riferimento?
Nella parte iniziale in un promontorio isolato di Procida e successivamente in una città non individuata ma con caratteristiche simili a molte città padane, naturalmente difensive e fortificate.
Lei potrebbe vivere in un luogo così?
I napoletani possono vivere dovunque. Hanno questo superpotere. Possono vivere dovunque e infatti lo fanno. Sì, io potrei vivere in un'altra città. Ma non so dire se mi sentirei davvero me stesso, in un altro luogo. Anzi, io sono me stesso solo vivendo a Napoli.
Il libro «L'equazione del cuore» è diverso dai precedenti ma i suoi lettori più affezionati hanno colto tante similitudini con i lavori già usciti, ad iniziare dalla sua capacità di "indagare" i sentimenti.
Mi ha fatto piacere che sia stata riconosciuta la mia scrittura. Avere un'identità da scrittore, a prescindere dalle storie che si raccontano, è sempre un fatto positivo. Di fatto il crimine è sempre stato interessante da questo punto di vista: il fascino è che ognuno di noi si riconosce negli stessi sentimenti dei criminali, ma veniamo fermati da ostacoli che abbiamo ben chiari. Di fronte alla gelosia, all'ossessione, al possesso, alla fame, al bisogno c'è chi non si ferma: ma il sentimento comune è ben riconoscibile.
Non è mai arrivato al punto di soffrire il successo del commissario Ricciardi o dell'ispettore Lojacono?
Figurarsi, il loro successo va benissimo. Io adoro i miei personaggi, non potrei mai raccontarli se non li amassi. E parlo dei personaggi positivi ma anche di quelli negativi. Io sono felicemente uno scrittore popolare, non c'è premio migliore dell'essere riconosciuto e di essere entrato nelle case delle persone.
Su Luigi Alfredo Ricciardi siamo sempre in lutto, noi lettori.
No. Ricciardi manca a me. Anzi, manca più a me che a voi. Penso sempre più spesso a lui e ad un suo ritorno. Che non è detto che non ci sia, a breve.
Ottima notizia.
Sì, anche se credo che il suo ritorno sarà in un periodo successivo all'ultimo libro (1934, ndr). Forse nell'immediato anteguerra e poi nel mondo dopo la guerra.
E i Bastardi di Pizzofalcone?
Proseguono per la loro strada. Sono tanti. Il prossimo libro, comunque, riguarda la serie di Sara.
Come decide del futuro dei personaggi?
Guardi, io le posso dire come inizio una storia, ma non come va a finire. Non so dirle che piega prendono i personaggi nel corso del racconto, non mi sento mai di prendere posizione in anticipo.
Lei giovedì sarà a Trento in un incontro in presenza. Le è mancato il contatto con il pubblico?
Prima di tutto sono molto contento di tornare a Trento. Torno sempre volentieri a presentare i libri, il centro storico lo conosco e la città è splendida.
E nei due anni di pandemia come è andata?
Ho fatto una marea di presentazioni on line, grazie ai quali ho mantenuto il mio rapporto con i lettori. Ora che stiamo ricominciando a girare, posso dirle che è bellissimo rivederli. Sarebbe ancora più bello se non dovessimo ancora portare la mascherina: guardare in faccia la gente e non sapere se ti sorride, se è attenta, se si annoia non è facile.
Lei che ha raccontato alcune assurdità del fascismo, cosa pensa di chi ha denunciato la «dittatura sanitaria» con il Covid?
Guardi, abbiamo vissuto un enorme problema mondiale. Abbiamo avuto milioni di morti e credo che serva rispetto. È stato un cammino lungo e difficile per tutti e credo che chiunque si sia trovato in ruoli importanti nelle istituzioni abbia cercato di dare il meglio di sè. Ci sono stati errori, sicuramente, ma sminuire l'entità di quanto abbiamo passato è un crimine nei confronti di chi è mancato.
Abbiamo perso una generazione intera di persone: un dolore enorme, che non va dimenticato.I nonni ricorrono spesso nei suoi racconti, anche nell'ultimo libro.
La loro è una figura importantissima, alla quale moltissime famiglie hanno dovuto rinunciare. Anche per questo ho voluto scrivere della loro importanza.
Per lei cos'è la famiglia?
Nelle sue storie ci sono tantissime sfumature, dall'uomo solo alla famiglia numerosa.La famiglia continua ad avere un ruolo, nonostante sia stata dichiarata obsoleta in maniera frettolosa. Viviamo in un'epoca che incita all'individualismo e al personalismo. Anche i bambini vengono visti a titolo personale e si educano le persone a vincere: già dal secondo posto siamo tutti perdenti. Credo che con questa pandemia la famiglia sia "tornata di moda", riprendendo un ruolo importante: e di questo dobbiamo essere tutti felici.
Su Twitter ha scritto: «Sto ripensando a tutti quelli che mi hanno augurato buon 2022. Ai quali ho risposto in modo lungimirante che peggio del 2021 mi sembrava difficile. Porgo le mie più sentite scuse».
Sono napoletano, mi capisca: scaramanticamente è molto strano che la guerra sia scoppiata prima che fossimo usciti dall'emergenza legata alla pandemia. Certo, eravamo abituati ad una certa costrizione psicologica, ma vedere quelle immagini in Europa fa molto male. Sono immagini di una violenza dirompente, che mettono angoscia.
Riesce sempre a scrivere quello che vuole lei, senza farsi condizionare dal pubblico?
Sì. Le dico di più: non saprei scrivere quello non sento. Ho questo limite, non so scrivere a comando. Non ho una grande scrittura, io scrivo storie. E se quella storia non la sento, non la scrivo.
Lei è un autore di successo e anche generoso con i lettori.
Sono prolifico perché ho molte storie: non decido di fare un libro e poi mi cerco cosa scrivere. E avrei molto più da raccontare di quanto riesco a fare.
Da dove vengono le vicende che mette nei libri?
Dalla mia città. Io sono uno che ascolta e osserva, che coglie le storie trasversali, quelle che rimangono al di sotto dell'aspetto evidente.
Possiamo parlare di calcio?
Prego. Andiamo sull'argomento religioso.
È lecito chiedere un pronostico ad un napoletano?
Le posso dire la speranza. Ma un pronostico no, soprattutto quest'anno: l'andamento del campionato, senza una squadra padrona come è stato negli ultimi dieci anni, rende più difficile fare una previsione. Basti pensare che i tre allenatori che sono ai primi posti della classifica non hanno mai vinto il campionato di serie A. A meno di clamorosi recuperi della quarta in classifica. La… Adesso non ricordo bene chi sia. Magari lei potrà fare una ricerca sul nome di quella squadra.
Nel libro «Il resto della settimana» lei parla di una «strisciante, violenta patologia, con sintomatologia multiforme, assolutamente inguaribile»: la passione per il Napoli.
Il tifoso del Napoli è malato. Stiamo parlando di una malattia - altrimenti non si chiamerebbe tifo - inguaribile, genetica per la maggior parte delle volte, che si contrae da piccoli e non ti abbandona per tutta la vita. Del resto il calcio è una meraviglia, una cosa bellissima.
Riesce ancora ad appassionarsi, nonostante tutto?
Gli ultimi giorni, con tutti questi deferimenti, sono stati pesanti. Ci provano a proporre uno sport che è diverso dal nostro. Ma quando iniziano le partite si dimentica tutto.
Quando si dedica alle promozioni dell'ultimo libro riesce a pensare al successivo? Sta scrivendo?
Da lunedì inizio a scrivere Sara.
Inizia a scrivere da zero?
Sì. Faccio sempre così: comincio ad un mese e mezzo dalla scadenza.
Deve sentire la pressione.
Di più: devo essere disperato.