Guerra in Ucraina, religioni, papa Francesco, Twitter e Trump: parla il cardinal Ravasi
Il presidente del Pontificio consiglio per la cultura inaugurerà il Festival dell’Economia di Trento il 2 giugno, e qui ci anticipa i temi del suo intervento di riflessione
TRENTO. Una riflessione sull'orizzonte generale della società contemporanea, la natura umana, la spiritualità e l'ecologia, in uno scenario di guerra in Europa e di verità non condivise. Questo è il prezioso contributo di analisi che il cardinale, biblista ed ebraista Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, offrirà al nuovo Festival dell'Economia di Trento, nel giorno dell'inaugurazione, il 2 giugno al Teatro Sociale, in dialogo con la scrittrice Silvia Avallone.
E con un costante richiamo a papa Francesco e alla sua straordinaria capacità di raggiungere i cuori e le menti - anche con il mostrarsi sulla sedia a rotelle - che lo rende oggi l'«unica voce profetica» in questi tempi bui.
Eminenza, «Per una nuova filosofia dello sviluppo tra etica e spiritualità» è il tema affascinante e impegnativo che le è stato affidato per l'apertura di questa edizione del Festival. Come svilupperà la sua riflessione tra etica ed economia?
Mi viene richiesto uno sguardo dall'alto, nel quale si possono introdurre infiniti percorsi, tenendo conto del fatto che la società contemporanea è ormai aeriforme o liquida, come diceva Bauman, e continuamente in movimento, quindi è difficile fissare dei punti. Comincerò dunque con un elenco di questioni che ritengo capitali.
Un primo punto cardinale è l'antropologia. Noi non abbiamo più un concetto di natura umana condiviso, né un concetto condiviso di verità e, come risultato, di etica. L'unico elemento che possiamo mantenere è il concetto di relazione: l'economia si basa sostanzialmente su una questione di relazioni. E come diceva Amartya Sen, il distacco dell'economia dall'etica è un impoverimento dell'economia stessa, il cui alveo originario dovrebbe essere la filosofia morale, terreno nel quale molti economisti temono di inoltrarsi. Quindi il problema dell'antropologia non è così teorico, ma è comportamentale. È fondamentale stabilire almeno il tipo di relazioni. L'enciclica "Fratelli tutti" di papa Francesco è proprio costruita su questo. Si pensi cosa vuol dire la crisi della relazione oggi con la guerra.
Come si riflette tutto questo sulla società contemporanea?
Come diceva il filosofo francese Paul Ricoeur viviamo in un'epoca di bulimia di mezzi (tecnologia) e di anoressia o atrofia di fini, di senso e significato. Pensiamo all'importanza della tecnocrazia rispetto alla scienza, o al trionfo della finanza rispetto all'economia.
La finanza un fine ben chiaro ce l'ha ed è il profitto.
Sì, ma non è un fine umano, è solo egoistico. L'economia non si deve occupare solo di mercato, ma di crisi economiche e fame nel mondo. E cito anche un altro esempio: il sesso rispetto all'amore, che è donazione; oppure il virtuale rispetto al reale.
Un altro punto cardinale che va considerato oggi è l'ecologia, la cura del creato, la casa comune di cui l'enciclica «Laudato si'» di Papa Francesco ha detto molto. Ormai sempre meno c'è il concetto di sororità (sorellanza) con la terra, questo è un punto fondamentale nella sensibilità attuale, ma purtroppo non è rispettato.
C'è posto per la spiritualità? E come si esprime?
Oggi assistiamo al fenomeno della secolarizzazione, che non è la secolarità. Il cristianesimo non è una religione fondamentalista, ierocratica, ovvero "trono e altare", anche se lo è stato in passato. Di sua natura è il «rendete a Cesare quel che è di Cesare e rendete a Dio quel che è di Dio».
Ma proprio su questo punto non si può non ricordare il duro confronto che c'è stato nei giorni scorsi tra il patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill, che sostiene la guerra di Putin, e papa Francesco, che lo ha richiamato a non fare il "chierichetto di Stato", ma ad utilizzare il linguaggio di Gesù a servizio della pace.
Certo. È proprio un esempio di due concezioni diverse. Da un lato quella per cui la religione ha il compito di annunciare alcuni valori, alcune verità, anche umane. Dall'altra, c'è la tentazione di coprirsi con il manto del potere e viceversa. Questo accade oggi anche in alcuni Stati musulmani, come l'Iran.Il patriarca Kirill giustifica la guerra proprio in base alla necessità di combattere la secolarizzazione e la decadenza delle democrazie liberali, cerca di portare una motivazione culturale e spirituale.
Non è così?
Certo. Ma il fatto è che lui lo fa politicamente, usando la mano secolare guantata di ferro. Io penso, però, che il rischio maggiore della nostra società oggi non sia tanto la totale secolarizzazione, ma il fenomeno che chiamo "apateismo", ovvero un ateismo apatico, cioè l'indifferenza. Ciò che è "bene o male", la fede, il trascendente, sono temi diventati irrilevanti, che non coinvolgono in profondità. Per questo ritengo che il mondo delle religioni, delle fedi non solo del cristianesimo, debbano avere innanzitutto la funzione di annunciare la solidarietà concreta di fronte a migranti, poveri, "scarti" della società, che creano difficoltà politiche ed economiche. Devono annunciare la misericordia in tempi duri di aggressività crescente, soprattutto nell'infosfera, quel mondo tutto avvolto in rete. E ancora, in questi tempi di guerra, le religioni hanno il dovere dell'annuncio dell'utopia della pace.
Non è giusto, secondo lei, mandare le armi all'Ucraina per difendersi dall'aggressione russa?
C'è la legittimità della difesa, però le religioni non possono accontentarsi solo di giustificare la difesa contro l'aggressore. Devono anche annunciare qualcosa di più alto. Devono fermare il guidatore ubriaco pazzo che uccide magari due bambini, ma la Chiesa deve anche investire su una visione un po' più utopica.
Un altro degli impegni è quello della verità contro l'impero delle "fake news", tornare a dire che esiste la verità.
Questo è un grande tema. Con la pandemia prima e con la guerra ora, si sono generati una paura e uno smarrimento mai provati da generazioni, che non hanno vissuto la seconda guerra mondiale e non si sarebbero mai aspettate di vivere tutto questo: un disorientamento che si ritrova anche nell'incapacità di riconoscere il vero dal falso.
Perché?
È esatto. È necessario che le grandi agenzie siano ascoltate di più e mi riferisco alla scienza o la morale a fronte di un'indifferenza, che purtroppo livella tutto, rende tutto uguale. Con le ultime due esperienze il Covid e la guerra è tornato in scena il corpo, la corporeità rispetto alla virtualità. E questa ha una sua oggettività. In questo periodo direi che si dovrebbe ritrovare anche un po' più di tenerezza e sentimento in un mondo di solitari, l'isolamento è forte. La comunità della Chiesa ha questo compito.
Perché gli esseri umani, che nei secoli sono stati capaci di creare tanta bellezza, opere meravigliose o utili all'umanità, nello stesso tempo sono stati autori di atrocità e guerre distruttive che continuano a ripetersi senza fine?
Questo è il grande nodo: la consapevolezza del limite. Noi abbiamo una libertà, ma è come avere tra le mani un esplosivo, perché è una libertà non perfetta, che sa distinguere il bene dal male, e può decidere di uccidere per proprio vantaggio. Le dittature normalmente per prima cosa bloccano la libertà. Per questo la cultura e le religioni devono insegnare un esercizio relazionale autentico della libertà.
Invece si esercita la via più facile: l'aggressione o negare l'altro.
Purtroppo, come dicevo, non abbiamo oggi un concetto di natura umana condivisa.Quindi non può esserci pace senza la libertà? Eh sì, certo. Non è possibile. Dove c'è subito l'opzione della guerra, e non solo nel caso emblematico della Russia, è sempre in un regime. Ma ci sono anche altre forme di regimi, penso a quelli costituiti dalle grandi corporation e a quanto possono condizionare. Io non condivido nulla di quello che dice Trump, ma il fatto che Twitter gli tolga completamente la voce pone qualche interrogativo. Così come la libertà perversa di chi in rete continua a insultare e ad aggredire gli altri.
Lei è un maestro di comunicazione, così come papa Francesco, che usa un linguaggio semplice e diretto che raggiunge i cuori delle persone. Intanto le chiese restano vuote.
Questa è una domanda molto impegnativa. Anche la cultura è afona, oggi si conosce a stento il nome di qualche scrittore rispetto al passato. Penso che siano necessarie alcune regole. Gli uomini di cultura devono essere capaci di usare l'essenzialità e la semplicità. È un'arte difficile. Pascal scriveva a sua sorella: «Ti ho scritto a lungo perché avevo poco tempo».
Poi, c'è la simbolicità. L'uomo è abituato all'immagine. Io dico spesso che Cristo ha inventato il tweet («date a Cesare quel che è di Cesare») e la parabola, che è una sceneggiatura. Infine, la testimonianza. Francesco, che è l'unica figura politico-religiosa significativa oggi, usa la testimonianza. Fa vedere lui per primo che la solidarietà nei confronti degli ultimi è un dato indiscutibile e necessario. Anche la carrozzina su cui è, e a cui si è dovuto piegare, è diventato un emblema. Ci vuole dire: non devi essere scartato anche se sei anziano e non riesci più a camminare.