Brunazzo: di cosa parliamo quando parliamo di populismo. Anche se il «popolo» non esiste in termini assoluti
Mercoledì mattina il professore trentino sarà ospiti dei «Dialoghi filosofici» a Piné. Ma in anteprima ci spiega il suo attualissimo intervento “Le peuple c’est moi. Sfide e paradossi del populismo contemporaneo”
TRENTO. Il popolo non esiste: almeno quello dei populisti. E’ un'astrazione, una semplificazione, utile a creare consenso. Sarà uno dei temi che Marco Brunazzo tratterà a Baselga di Pinè (Polo culturale L.A.C., Via del Lido 2/A), mercoledì 31 agosto alle ore 10 nell’incontro organizzato dalla Biblioteca di Baselga di Pinè, per il ciclo “Dialoghi filosofici”, dal titolo “Le peuple c’est moi. Sfide e paradossi del populismo contemporaneo”.
Brunazzo , politologo, professore ordinario all'Università di Trento, è autore di diversi saggi, tra cui uno degli ultimi è “La politica nell’Unione europea” (Mondadori).
Cosa significa populismo?
“Si tratta di un concetto ombrello; serve a definire tanti movimenti politici in diverse epoche storiche. In termini molto generali può essere definito come un modo di fare politica: è proprio questo suo stile a renderlo applicabile in diversi contesti. Gli elementi essenziali sono, da una parte, l’immaginare un popolo omogeneo da rappresentare in contrapposizione ad una élite. Quest’ultima può essere economica o politica, ma in generale non viene mai particolarmente definita nei discorsi populisti. Ci si limita ad indicare “coloro che sono al potere in un determinato periodo”. Dall’altra parte nella definizione del populismo è centrale il concetto di democrazia diretta. Proprio perché pretendono di rappresentare il popolo, i populisti sono sostenitori di un accesso diretto del popolo al potere”.
Il populismo ha certamente una parte deleteria, quella con cui alcuni politici fanno leva sulla “pancia” delle presunte masse, sul sentire immediato del cosiddetto popolo: però dall’altra si difende l’accesso diretto della gente alla politica e il bisogno di rispecchiare i reali bisogni delle persone. Questa seconda caratteristica ha a che fare con un reale bisogno di democrazia?
“Certo: questo è uno degli argomenti trattati nel dibattito politologico. Il populismo è stato inizialmente delineato dalla comunità scientifica, attraverso gli elementi più critici: nazionalismo o fascismo. In ogni caso ne sono stati enfatizzati i caratteri deleteri.
Negli ultimi anni alcuni studiosi hanno cominciato a pensare al populismo in termini più positivi: un movimento in grado di ri-mobilitare gli elettori e dare un senso alla partecipazione dei cittadini. Il dibattito politico trova quindi un parallelo in quello scientifico. In ogni caso anche i sostenitori della tesi per cui il populismo esprime nuove forme di partecipazione, non sottovalutano gli elementi paradossali e critici insiti nel populismo”.
Possiamo chiarire allora le sfide e paradossi che il populismo ci pone di fronte?
“Il populismo intende riportare, all’interno del perimetro democratico, una disaffezione nei confronti della politica. Il primo paradosso è quello di voler rappresentare un popolo omogeneo e i suoi interessi di fronte ad una élite politica. Operazione molto complicata: perché il popolo, in senso populista, non esiste. E’ una idealizzazione e semplificazione che si basa su presunti interessi comuni di individui che in realtà sono molto diversi tra loro e non uniformi. In questo senso le elezioni per i populisti sono sempre dei plebisciti: non le intendono come l’espressione democratica delle diversità che eventualmente convergono su obiettivi comuni. Il populista crede di poter rappresentare il volere del popolo in maniera oggettiva. Come fosse un’unica entità. Tutti gli altri partiti sono, di fatto, delegittimati”.
I populisti hanno bisogno però di un “capo carismatico” che incarni il volere del popolo?
“Questo è un altro paradosso: il leader populista pretende di rappresentare il popolo nella sua essenza.
Però, in realtà, tutti i movimenti populisti si appoggiano sulle capacità di un leader indiscusso e forte che decide per tutti. In Italia abbiamo Beppe Grillo, Giorgia Meloni o Matteo Salvini a svolgere il paradossale ruolo di interpreti assoluti del volere popolare. Il destino dei populisti è legato alla sopravvivenza del leader: lo vediamo molto bene nel caso del movimento cinque stelle. Infine il populismo ha bisogno di vivere in una costante campagna elettorale: deve continuamente legittimarsi agli occhi dei suoi elettori. Tutto ciò può condurre a piegare i processi istituzionali democratici a suo favore: è il caso di Donald Trump che non ha riconosciuto l’elezione di Joe Biden”.
In termini di partecipazione comunque sembra che i populisti riescano a portare alle urne tante persone. Come sviluppare invece una partecipazione realmente democratica?
“Tutte le democrazie convivono con dati molto bassi di partecipazione e con cittadini che leggono poco i giornali: la questione è diventata più importante negli ultimi anni. Da una parte i social media facilitano un certo tipo di partecipazione diretta, dall’altra c’è una perdita di significato della partecipazione. Sempre meno persone vanno a votare, ma in più le elezioni sono forse meno decisive che in passato. I governi nazionali devono rispettare regole europee o internazionali e quindi le democrazie possono cambiare il quadro di una nazione in modo limitato”.
Abbiamo quindi un problema: come ridare un senso alla partecipazione dei cittadini e riportarli al centro della discussione pubblica?
“Ci sono gli strumenti della democrazia rappresentativa e diretta, quella che i populisti vorrebbero sviluppare.
Dall’altra c’è la democrazia partecipativa, come nel caso del dibattito pubblico utilizzato per decidere il tracciato della circonvallazione ferroviaria a Trento. In queste occasioni vediamo come la democrazia può essere esercitata non attraverso un semplice voto su una scheda, ma discutendo concretamente problemi reali”.