Nei Paesi europei, sul 10% della popolazione con reddito più alto, solo il 25% sono donne
La disuguaglianza nella distribuzione del reddito tra i membri della società è ormai un tema di primaria importanza per l’opinione pubblica mondiale. La nascita del movimento “Occupy Wall Street”, e il successo planetario del libro di Thomas Piketty “Il Capitale nel XXI Secolo”, ne sono un chiaro esempio. L’efficacia di alcuni slogan di successo, come ad esempio “Noi siamo il 99%”, fanno quasi pensare che il fenomeno della disuguaglianza sia di per sé evidente e immediatamente comprensibile. Quello che in pochi sanno è che i primi studi economici sulla disuguaglianza risalgono ai primi anni ’50, e, pur disponendo ormai di una vasta letteratura sull’argomento, molte dimensioni di questo fenomeno rimangono ancora inesplorate.
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Nulla sappiamo, per ora, su come le disuguaglianze di genere influiscono sulla disuguaglianza complessiva nella distribuzione del reddito. Alessandra Casarico, docente all’Università Bocconi di Milano e ricercatrice al centro CESifo di Monaco, collabora a un progetto innovativo e di carattere internazionale su questo tema, e ieri, nella sala conferenze della Facoltà di Economia, ha esposto i primi risultati emersi da questo studio. Anzitutto, perché è importante studiare il rapporto tra disuguaglianza e genere? Iniziamo ad avere evidenza empirica, afferma la Casarico, che nei paesi in cui vi è minore disparità tra il reddito percepito dagli uomini e quello percepito dalle donne, il reddito famigliare complessivo è più alto, e migliora dunque il benessere economico generale della popolazione. Ridurre i differenziali di genere dunque potrebbe avere un impatto redistributivo di entità non trascurabile.
Un primo passo dunque, nella comprensione dei complessi meccanismi che legano disuguaglianza economica e differenze di genere, consiste nel capire quale sia la percentuale di donne nella fascia più alta della distribuzione del reddito. I dati utilizzati da Piketty e altri, nei propri studi sul fenomeno della disuguaglianza, non contengono infatti alcuna distinzione basata sul genere. I primi risultati che emergono da questa particolare analisi sono di grande interesse, in quanto mostrano che nella maggior parte dei paesi europei, sul totale di quel 10% della popolazione con reddito più alto, solo il 25% circa siano donne. Ma a stupirci non è tanto questo, quanto il fatto che lo stesso fenomeno si verifichi non solo in paesi come l’Italia, in cui la distribuzione del reddito è estremamente diseguale, ma anche in paesi come Danimarca e Norvegia, in cui il livello di disuguaglianza generale è molto basso. I differenziali di genere nei cosiddetti “top incomes”, ossia nelle fasce di reddito più alte, hanno dunque carattere transnazionale, e non sono influenzate dal maggiore livello di equità distributiva tipico dei paesi scandinavi.
Secondo la Casarico, inoltre, questo è solo uno dei possibili approcci economici al problema delle disuguaglianze di genere: altri gruppi di ricerca al momento stanno lavorando su come queste ultime influenzino il tasso di crescita economica di un paese. Quello che ci auguriamo è che questi importanti contributi scientifici sul fenomeno delle disuguaglianze di genere si traducano al più presto, sul piano politico, in misure efficaci e coraggiose che possano mettere fine a questa grave ingiustizia sociale.
di Lorenzo Livraghi
Studente universitario che partecipa all'iniziativa Adige/Vodafone