Scarsa informazione sugli investimenti a rischio Monte Paschi restituisce 180mila euro a coppia trentina
180mila euro a una coppia trentina
La circostanza che il cliente correntista di una banca abbia già acquistato «altri titoli a rischio» non esime la banca dall’informarlo adeguatamente su un altro investimento a rischio che intenda sottoscrivere. Perciò la Cassazione ha confermato la condanna al Monte dei Paschi di Siena a risarcire i danni subiti da due coniugi trentini che avevano dato l’ordine di acquistare 180 mila euro in Cirio bond.
Senza successo la banca ha sostenuto di non aver violato alcun obbligo d’informazione dal momento che «in epoca prossima all’operazione in questione, il cliente aveva acquistato altri titoli a rischio». Ma per i supremi giudici «il dovere di fornire informazioni appropriate e l’obbligo di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensioni, se non sulla base di un ordine impartito dall’investitore per iscritto contenente l’esplicito riferimento alle avvertenze ricevute, sussiste in tutti i rapporti con operatori non qualificati, e tale è anche chi in precedenza abbia occasionalmente investito in titoli a rischio».
Con questa decisione - sentenza 816 della I sezione civile, depositata oggi - la Cassazione ha confermato il verdetto emesso il 28 aprile 2009 dalla corte d’appello di Trento, respingendo il ricorso del Monte dei Paschi.
I giudici trentini hanno ritenuto la banca inadempiente ai propri obblighi di informazione presso i clienti «posto che il modulo relativo all’ordine recava due dichiarazioni (la prima relativa all’avere essi ricevuto informazioni su natura, rischi e implicazioni dell’investimento, la seconda di voler essi comunque dargli corso nonostante l’avvertenza della sua inadeguatezza) chiaramente interdipendenti, onde la prima non poteva avere effetto senza la seconda, che però non sussisteva, vista la mancata “crocetta” sull’apposito quadrato».
Ad ogni modo, anche nel caso in cui «la prima dichiarazione fosse da considerare resa, essa non costituiva una confessione, perché nulla diceva sul contenuto dell’informazione data ai clienti, in particolare quanto all’acquisizione del loro profilo di rischio».
I soli elementi risultanti dai documenti e dalle testimonianze riguardavano la «scarsa propensione al rischio» della coppia di coniugi correntisti e la loro «aspirazione a rendimenti superiori al 5%» oltre alla circostanza di avere acquistato «anche obbligazioni di società estere, peraltro con rating».
Ad avviso dei giudici trentini l’assenza del rating, per i Cirio bond, valeva «di per sé a modificare il livello di rischio dell’investimento». Inoltre, una nota della Banca d’Italia del 20 ottobre 2003 «dava atto che i titoli Cirio fossero destinati ai soli investitori istituzionali».
Per la corte d’appello di Trento «tutto ciò dimostrava che l’investimento si ponesse a livello non compatibile con la propensione al rischio del cliente, con conseguente violazione dell’art.29 Reg.Consob n.11522 del 1998». A proposito della mancanza del rating dei bond Cirio, la Cassazione sottolinea che «la pacifica mancanza di rating ufficiale avrebbe dovuto indurre la banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che essi, seppur in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali».
Così è stato respinto il ricorso di Mps e alla coppia trentina è stato confermato il diritto a ricevere i 180 mila euro dell’investimento oltre agli interessi.