Holding Bcc, manovre per modificare la riforma
Trovare la soluzione che lasci le Bcc libere di non entrare nella holding unica senza smontare uno dei principi cardine della cooperazione, l’indivisibilità delle riserve.
Mentre la commissione finanze della Camera inizierà da martedì a votare gli emendamenti al decreto banche, torna a salire la tensione sulla riforma delle Bcc, ultimo Pier Luigi Bersani che ha chiarito che le riserve non vanno toccate altrimenti, «anche con dieci fiducie, io non la voto».
Ma sottotraccia continua il lavoro diplomatico (e di lobbing) proprio per stemperare in Parlamento l’impatto, drammatico secondo le coop, della way out disegnata dal governo, secondo le accuse delle opposizioni «su misura» di alcuni istituti toscani come il gruppo Cabel, Chianti Banca o la Bcc di Cambiano.
La mediazione, che ancora non è del tutto matura, dovrebbe essere quella modello della coop che controlla la Spa, cedendo a quest’ultima l’attività bancaria.
Una soluzione «spuria» che però, anche dentro il mondo della cooperazione, viene giudicata il «male minore», perché almeno nella forma fa salva la natura indivisibile delle riserve, che resterebbero in capo alla coop che dovrebbe comunque, per rimanere tale, reinventarsi una missione sociale.
Sulla riforma delle Bcc si sono peraltro concentrate le proposte di modifica al decreto, che contiene anche la garanzia dello Stato sulle cartolarizzazioni delle sofferenze e lo sconto fiscale sulle aste immobiliari: oltre 200 emendamenti, sui circa 300 rimasti dopo il vaglio delle ammissibilità, chiedono di correggere il nuovo assetto immaginato per il credito cooperativo, di cui una cinquantina proprio sulla way out.
Alcuni punti comuni, nelle richieste di modifica, ci sono, anche se ancora il governo non si è sbilanciati sulle concessioni che effettivamente potranno trovare spazio.
I deputati comunque, in linea con le richieste emerse anche dalle audizioni, chiedono in primis di prevedere un meccanismo di recesso anche dopo la creazione della holding, non solo nella fase transitoria (durante la quale tutti puntano a creare un fondo ad hoc per il sostegno degli istituti che ne abbiano necessità) così come emendamenti bipartisan chiedono di recuperare la norma «salva-Alto Adige», per consentire alle Bcc del gruppo Raiffeisen di rimanere autonome, anche se collegate, alla holding principale.
Il tasto dolente resta comunque la way out sulla quale il relatore, il dem Giovanni Sanga, è convinto che si riuscirà a trovare «una buona soluzione».
Al momento è quasi certo che sarà fissata una data alla quale verificare i requisiti patrimoniali per restare fuori (ora 200 milioni di patrimonio netto), che potrebbe essere l’ultimo bilancio consolidato (al 31 dicembre 2015) oppure la data definitiva di conversione del decreto, che scade a metà aprile.
Sul meccanismo vero e proprio di uscita, invece, le posizioni divergono e vanno dalla richiesta estrema di cancellare la way out a quelle, più quotate, di usare l’escamotage del conferimento dell’attività bancaria a una società per azioni, con la Bcc che rimane cooperativa e controlla la nuova banca-Spa.
Una ipotesi, quest’ultima, suggerita dalle stesse coop in audizione, e che è stata raccolta da diversi emendamenti, che comunque la declinano in vari modi.
Il capogruppo Pd in commissione, Michele Pelillo, propone ad esempio che anche le piccole Bcc, «congiuntamente» ad almeno un istituto che superi i 200 milioni (soglia che in molti, sia di maggioranza che di opposizione chiedono di alzare), possano restare fuori dalla holding - misura immaginata per non incorrere in rischi di incostituzionalità - pagando però una tassa straordinaria più bassa di quella attualmente prevista, che passerebbe dal 20 al 15%. Un’altra proposta dem analoga lascia invece la tassa per l’affrancamento delle riserve al 20%.
In realtà sarebbe in corso una riflessione anche su questo punto, per ridurre i rischi di incappare in rilievi Ue per un trattamento troppo di favore di chi esce dopo aver accumulato per anni le riserve grazie a consistenti sconti fiscali - dubbio, quest’ultimo, sollevato anche dalla Banca d’Italia.
Mentre c’è chi chiede di eliminare questo balzello ad hoc, si starebbe invece anche riflettendo sull’opportunità di alzare la tassa straordinaria (ad esempio al 30%, come chiede un emendamento a firma Tabacci), che il Movimento 5 Stelle, in generale contrario alla riforma, propone di girare non tanto all’erario quanto ai fondi mutualistici.
Tutti i gruppi, infine, chiedono che si recuperi la possibilità per le Bcc che non entrano nel gruppo di trasformarsi non solo in Spa, ma anche in banca popolare.