Fondo monetario internazionale: “I rifugiati non rubano posti di lavoro nei Paesi d’accoglienza”
Ci vuole Antonio Spilimbergo, ricercatore Cepr e capo missione del Fondo monetario internazionale (Imf), a sfatare, cifre alla mano, alcuni dei luoghi più comuni su immigrati e rifugiati. Chi arriva via mare o via terra in Europa, siano essi immigrati o rifugiati, non “ruba” il posto di lavoro ai lavoratori dei Paesi che li ospitano. Al contrario creano una propria domanda e, spesso (vedi i casi Israele per l’Hitech e Stati Uniti peri manifatturiero) sviluppano nuovi settori di attività. Una precisazione è d’obbligo ed è lo stesso Silimbergo a farla: “Gli studi condotti riguardano il settore economico, non quello sociale, ma in ogni caso possono aiutare i politici su basi concrete ad individuare le misure migliori. Anche perché - aggiunge Spilimbergo - nessuno studio ha calcolato quanto durerà il flusso migratorio: dopo Medio Oriente e Siria, altri Paesi, africani in particolari, sono a rischio crisi e quindi pronti a generare nuove emergenze umanitarie”. Tre Paesi Ue con il maggior numero di arrivi son oGermania, Svezia ed Austria. L'Italia continua ad essere un Paese di transito verso il Nord Europa.
Il Festival Economia di Trento continua a regalare, per il pubblico attento, continue opportunità di approfondimento del tema di maggiore attualità in Euroa, ovvero la crisi dei rifugiati. E’ successo anche oggi, al volgere di mezzogiorno, grazie ad Antonio Spilimbergo del Fondo monetario internazionale, magistralmente introdotto da Pietro Del Soldà , conduttore della trasmissione di Rai Radio3 “Tutta la città ne parla”.
L’incontro, dal titolo “Esplosione dei rifugiati in Europa: i cambiamenti economici”, ha dapprima dati i numeri dell’ultima ondata di profughi. Attualmente al mondo ci sono circa 15 milioni di rifugiati e il numero di richiedenti asilo nella Ue è solo una piccola parte: Pakistan e Turchia sono le due nazioni dove l’emergenza ha registrato un afflusso di milioni di persone. Un esodo biblico. La Siria, nazione che prima della guerra civile contava 25 milioni di persone, ha contributo da sola all’emergenza profughi con 8 milioni di persone che a causa della guerra hanno lasciato i propri luoghi d'origine. “Altri conflitti - ha ammonito Spilimbergo - sono all’orizzonte e dobbiamo attenderci ulteriori esodi, soprattutto in Africa, da Paesi quali l’Eritrea. Il problema continuerà a perdurare nel tempo e nessuno studio è in grado di prevedere quale sarà il numero dei rifugiati nel breve e medio periodo”.
In Europa i paesi maggiormente interessati dall’arrivo dei rifugiati sono nell’ordine Germania, Svezia ed Austria, mentre l’Italia è un paese di transito. Lo studio compiuto da Spilimbergo, mette in evidenza “l’effetto network”, ovvero che i rifugiati si spostano verso quelle nazioni dove esistono già colonie di connazionali.
“L’esperienza internazionale - ha aggiunto il relatore - dimostra che gli effetti economici dovuti all’emergenza profughi sulla popolazione è relativa, così come un’integrazione veloce abbassa i costi che uno Stato deve affrontare per far fronte al fenomeno”.
Lo studio riserva sorprese nel mercato del lavoro, dove un immigrato guadagna 20% meno rispetto al lavoratore autoctono. Questa differenza si accorcia sul lungo periodo ma è destinata a perdurare: dopo 20 anni la differenza resiste al 5%.
Le politiche di accoglienza possono facilitare l’ingresso dei rifugiati in campo economico, come spiega Spilimbergo: “I rifugiati dipendono molto dai benefici sociali ed è per questo che gli Stati devono facilitare l'entra nel mercato del lavoro, riducendo - ad esempio - le restrizioni e riconoscendo i titoli di studio. Il settore che offre maggiore opportunità è quello delle micro imprese. Una integrazione veloce significa abbassare i costi d’accoglienza verso nuova forza lavoro ma anche verso persone in grado di creare nuovi mercati”.
Quello che è certo è che gli immigrati non saranno i salvatori del sistema previdenziale e pensionistico di un Paese. La vera opportunità arriva dal valore che il loro lavoro può produrre: “Gli immigrati creano un propria domanda, offrono delle competenze complementari e sviluppano nuovi attività”. In Israele, gli immigrati ebrei provenienti dalla Russa hanno dato vita all’industria dell’hitech, mentre negli Stati Uniti i messicani hanno rilanciato l’industria tessile.
Ultima aspetto trattato da Spilimbergo è quello fiscale: “Il calcolo del costo fiscale degli immigrati è complicato ma alla fine possiamo affermare che il loro impatto fiscale è relativo perché immigrati sono per lo più giovani e rappresentano forza lavoro”.