Nessun limite alle aperture festive dei negozi La Consulta salva la liberalizzazione totale
Nessun limite alle aperture festive dei negozi: la «libera concorrenza» resta sacra e non deve incontrare ostacoli. Non c’è ragione, economica e di buon senso, di qualità della vita dei lavoratori e delle loro famiglie, per imporle limitazioni.
C’erano grandi speranze nella sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla leggere della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4 dell’8 aprile 2016. Con tale legge, la Regione guidata da Debora Serracchiani ha imposto l’obbligo di chiusura degli esercizi commerciali in determinati giorni festivi.
Giù le serrande nei giorni 1° gennaio, Pasqua, Lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1° novembre, 25 e 26 dicembre. La legge del FVG disciplina altri aspetti, come la introduzione dei «centri commerciali naturali» e la classificazione degli esercizi, in base alla superficie. Ma l’aspetto più rilevante riguarda proprio le chiusure obbligatorie, perché la scelta politica è stata quella di contrastare la liberalizzazione imposta dal Governo Monti nel dicembre 2011 con il decreto «Salva Italia».
Ebbene, la Corte Costituzionale, presieduta da Paolo Grossi, con la sentenza 98 pubblicata ieri l’altro, ha dato ragione al Governo e a Federdistribuzione, la Federazione delle associazioni delle imprese della grande distribuzione organizzata. Intanto, in primis, la normativa che stabilisce «i principi di liberalizzazione del mercato a tutela della concorrenza (...) costituisce un limite alla disciplina che le medesime Regioni (a statuto speciale) possono adottare in altre materie di loro competenza», come già riconosciuto dalla Corte con la sentenza 299 del 2012. E a quella sentenza, nel 2016 è seguita un’altra (la 239) che «ha nuovamente valorizzato il principio di liberalizzazione, che esonera gli esercizi commerciali dall’obbligo di rispettare gli orari e i giorni di chiusura».
La Corte Costituzione, con l’ultima sentenza che stoppa la legge del FVG, rimarca che «la normativa statale volta all’eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali, oltre ad attuare un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche a beneficio dei consumatori, favorisce la creazione di una mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore. Si tratta, dunque, di misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate alle scopo di garantire l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale».
La dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce anche l’articolo della legge friulana che individua i «comuni classificati a prevalente economia turistica». La sentenza costringe ora anche la Provincia di Trento, fin qui rimasta in attesa, a prendere delle decisioni. L’assessore Alessandro Olivi non esclude la strada di una nuova norma di attuazione.
«ALLEANZA CON ALTRE REGIONI PER CAMBIARE»
L’assessore al commercio della Provincia di Trento, Alessandro Olivi ha letto la sentenza della Corte Costituzionale. «C’è delusione. Ora - dice - dobbiamo muoverci su più fronti».
Assessore Olivi, una sentenza scontata?
«Al collega assessore friuliano avevo detto “In bocca al lupo”. Ma non c’erano grandi aspettative sulla possibilità di capovolgere l’ordine delle cose. Ci si aspettava però che la Corte, nelle motivazioni, aprisse almeno qualche riflessione critica sul modello di tutela della libera concorrenza che ha ispirato la normativa statale».
Non è stato così, però.
«Per questo sono deluso, soprattutto laddove la Corte parla di “misure proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento relativo alla grande distribuzione commerciale”. Quel “proporzionate” lascia davvero perplessi».
Perché?
«Perché è dimostrato che non è così in Austria, Germania, Svizzera e Francia. L’Italia è il Paese che declina nel modo più aggressivo il principio di tutela della libera concorrenza. Negli altri Paesi dell’Arco alpino, ai Länder e ai Cantoni lo Stato riconosce la facoltà di temperare la norma, a tutela del lavoro, delle tradizioni e dei tempi di vita di paesi e città».
Come intende procedere, adesso?
«Non serve fare una operazione di facciata e andare in ordine sparso con una nostra legge. Abbiamo davanti tre strade: spingere, in accordo tra più regioni, a partire dal Friuli, perché il Parlamento modifichi il “Salva Italia” di Monti e conceda spazi di autonomia ai territori; tentare la via, assieme a Bolzano, di una nuova norma di attuazione per le due Province autonome, in una logica pattizia con lo Stato: il Trentino è più vicino al modello del Voralberg e dei Grigioni che alla Pianura padana; infine, dobbiamo costruire delle alleanze transfrontaliere, a livello di Euregio e Arge Alp, per puntare ad una omogeneità delle normative sul commercio. Oltre il Brennero, c’è un modello dove la norma statale o federale non toglie spazio di azione ai territori. Su quel treno possiamo salire attraverso l’Euregio».
Chiamerà domani Debora Serracchiani?
«Prima, ne parleremo in Giunta».