Rapporto della Fondazione Nord-ESt qui Pil e reddito come Germania e Svezia
Le regioni del nord est, insieme a Lombardia ed Emilia Romagna, sono quelle che maggiormente hanno contribuito alla ripresa economica ed occupazionale in Italia, evidenziando una ritrovata competitività. Il Pil-pro capite, pari a 33.900 euro, è prossimo a quello della Germania e della Svezia e ampiamente superiore alla media italiana. I tassi di occupazione delle regioni sono superiori a quelli del 2008 e compresi tra il 65,7% del Friuli Venezia Giulia e il 72,9% dell’Alto Adige. I dati sono contenuti nel Rapporto 2018 della Fondazione Nord Est presentato a Trento.
A trainare questa ripresa e capacità di ritornare ai valori pre-crisi - dice lo studio - hanno contribuito principalmente le esportazioni, cresciute anche nel 2018 del 4,3%, rispetto al 3,4% del nord ovest e al 3,1% dell’Italia. L’importanza dell’export per la crescita delle regioni del nord est è confermata dalla quota di valore aggiunto stimolata dalla domanda internazionale che è pari al 19,1% in Veneto, al 14,9% in Friuli Venezia Giulia e al 13,1% in Trentino Alto Adige. Il principale mercato di destinazione del nord est rimane il mercato unico europeo con il 60,6% del totale delle esportazioni, dove i partner principali si confermano Germania e Francia. La competitività ritrovata a nord est ha mostrato alcune differenze a carattere regionale.
Il Trentino Alto Adige ha evidenziato una migliore capacità di ripresa sia in termini di Pil che di occupazione. Importante per questo risultato il contributo degli investimenti, soprattutto in istruzione e formazione. «Istruzione e formazione - dice il rapporto - rappresentano uno degli elementi fondamentali alla base della competitività necessaria, ovvero di quell’insieme di fattori indispensabili per affrontare le sfide del futuro, su cui c’è ancora molta strada da fare».
Centrale è in questo la qualità del capitale umano e l’attrattività del territorio rispetto alle competenze. Sul primo fronte, la quota dei laureati nella classe 30-34 anni rimane ancora inferiore a quella della media europea.
In Veneto la quota si ferma al 27,6% e in Friuli Venezia Giulia al 28,7%. In Trentino Alto Adige, viceversa, gli investimenti realizzati a sostegno della formazione hanno contribuito a portare la quota di laureati nella classe 30-34 anni vicina alla media europea (33,6%). Sul fronte dell’attrattività del territorio i dati evidenziano come il Nord Est risulti meno attrattivo rispetto a Lombardia ed Emilia Romagna.
Tutto bene? Non tutto. Le molte luci di un passato recente, fatto da una ripresa particolarmente significativa rispetto al resto d'Italia, stanno lasciando spazio ad alcune ombre per le economie delle regioni del Nord Est, Trentino - Alto Adige compreso. A dirlo sono i dati raccolti e analizzati all'interno del Rapporto 2018 della Fondazione Nord Est, dal titolo "Una nuova competitività". Il nostro territorio, insieme a Veneto, Emilia - Romagna, Friuli e Lombardia, è stato dunque capace di riprendersi, con un'economia che ha fatto da traino al paese intero, ma già negli ultimi due trimestri del 2018 si è registrata una crescita in calo rispetto alla prima parte dell'anno.
Non solo: stando a un sondaggio svolto tra gli imprenditori trentini, le previsioni sulla redditività dicono che qualcosa sta scricchiolando: «Coloro che si immaginano una crescita superiore alla crescita dell'anno precedente sono in diminuzione, mentre chi nel 2019 si immagina una crescita inferiore sta aumentando», segnala il professor Carlo Carraro , direttore scientifico della Fondazione. Diverse le stime che si fanno in Alto Adige, dove invece in termini prospettici non si prevede un rallentamento di intensità analoga a quello stimato in Trentino. «La differenza qui in regione fino ad ora l'ha fatta la dimensione pubblica - spiega Carraro - soprattutto con gli investimenti. Ora però bisogna curare anche la direzione degli investimenti, con un lavoro soprattutto su innovazione, digitale, ricerca e sviluppo. Trentino e Lombardia si sono mosse bene su questo promuovendo la formazione terziaria: qui siamo passati dal 20 al 30% della popolazione che ha un titolo a tale livello. Il cammino fatto in questi anni per recuperare il gap è stato importante, deve essere perseguito ulteriormente. Dobbiamo, in particolare, correggere alcuni fattori che ci rendono meno competitivi».
Per il professor Carraro si deve lavorare soprattutto su due fronti: «Sull'attrattività di investimenti siamo ancora molto indietro. Poi c'è il discorso delle università, perché le tre regioni del Nord Est possiedono università tra le migliori d'Italia ma sono più gli studenti del Nord Est che si iscrivono in altre regioni di quelli che da fuori vengono in questi atenei: le nostre regioni hanno bisogno di più università o di ingrandire quelle esistenti per formare o attirare più studenti. Poi sul post formazione vediamo, ad esempio, che la percezione è che le imprese venete offrano meno opportunità di lavoro di quelle lombarde o emiliane. Stesso discorso per il lavoro: sono più coloro che vanno via di quelli che vengono a lavorarci, solo Lombardia ed Emilia hanno saldo positivo, mentre Veneto e Trentino - Alto Adige no. C'è quindi il nodo della qualità del lavoro, che dovrebbe essere superiore al fine di attirare capitale umano più qualificato. Su questo, qui siete indietro e c'è una differenza forte tra Trento e Bolzano, con la prima provincia che attrae più lavoratori qualificati rispetto alla seconda».
Se il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti , nel suo saluto iniziale ha ricordato che la giunta intende puntare soprattutto su infrastrutture come Valdastico e terza corsia per A22, ecco invece la ricetta del professor Carraro: «Nuove infrastrutture digitali, strumenti finanziari per le piccole e medie imprese, e poi una nuova narrativa per il Nord Est».
IL PRESIDENTE DEGLI INDUSTRIALI TRENTINI - Cultura, innovazione, donne e una diversa narrazione del territorio: da qui vogliono ripartire gli imprenditori, che hanno perfettamente recepito quanto evidenziato dal Rapporto. «Non ho la sensazione di vivere in un'isola felice e ho anche paura a definirla così», chiarisce subito il presidente di Confindustria Trentino Fausto Manzana . «Io dico che per attrarre capitale umano dobbiamo anche puntare sull'aspetto culturale. Uno direbbe: "Ma come? Una cosa così eterea?". Ebbene, a queste professionalità è necessario dare il contesto, che non può essere fatto solo di lavoro. Noi dobbiamo vendere la nostra immagine, a tutto tondo. Non siamo attrattivi, siamo e rimaniamo una componente periferica, con splendide montagne ma senza taluni elementi importanti».
Lucio Giudiceandrea , a capo degli industriali altoatesini, aggiunge: «Il capitale umano per l'Alto Adige è la sfida più grande: da noi c'è tutta la questione del bilinguismo, e in generale c'è una serie di barriere, ad esempio la residenza minima di cinque anni per votare o per accedere ad altri servizi, tutte cose nate per preservare la minoranza linguistica ma che oggi per alcuni aspetti sono un po' una palla al piede se pensiamo all'innesto di nuova forza lavoro. Su come fare per far fronte a questa carenza ci stiamo interrogando e non da oggi, e una delle strade che stiamo battendo è quella di invogliare le ragazze seguire studi tecnici, anche perché nell'elettronica e in informatica vediamo che hanno una marcia in più». Anche l'Università riconosce il problema: «Il tema dei giovani che vanno via dalle regioni più sviluppate» dice il rettore Paolo Collini «è la punta preoccupante di un iceberg. Spesso trovano offerte all'estero che sono preferibili, anche perché qui in Italia i salari in entrata sono piuttosto piatti».