Evasione fiscale per 16 milioni la Commissione tributaria inguaia l'immobiliarista Renzo Rangoni
La società lussemburghese Erre Nove sa che fa capo all’imprenditore trentino Renzo Rangoni, finita nel mirino del fisco italiano e della procura di Trento per una presunta evasione fiscale da 40 milioni di euro, serviva a finanziare investimenti immobiliari in Italia per 97 milioni. Non era però una vera holding di partecipazioni, bensì «una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale» cioè a non pagare le tasse, precisamente a risparmiare 16,8 milioni di imposte. Queste le conclusioni della Commissione tributaria di primo grado di Trento, che ha respinto il ricorso di Rangoni contro l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
Dopo la conferma del maxi sequestro di immobili, conti correnti e titoli per circa 17 milioni da parte del Tribunale del riesame, Rangoni deve quindi incassare anche la sconfitta in Commissione tributaria. «Deve considerarsi compiutamente accertato - scrivono i giudici tributari - che, quanto meno in riferimento al periodo di imposta 2013, la società Erre Nove sa (di cui Rangoni era socio unico ndr) costituiva una “costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale”, in quanto il ricorrente non ha provato che essa esercitava effettivamente le attività di direzione, coordinamento e amministrazione delle partecipazioni possedute».
La commissione tributaria - presieduta da Giuseppe Serao, con il relatore Giorgio Flaim e il giudice Angelo Maria Tellone - ha dunque ritenuto infondati e non condivisibili i rilievi sollevati dall’avvocato Renate Holzeisen, ma appare scontato che la battaglia prosegua: «Riteniamo questa sentenza errata e la impugneremo in secondo grado» afferma il legale. Parole condivise anche dall’imprenditore, che preferisce non aggiungere altro.
In gennaio la Guardia di finanza di Trento aveva eseguito un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di conti correnti e titoli per un totale di 16 milioni 84 mila euro, nonché una quota di 777.218 euro dell’immobile storico di piazza Vittoria di proprietà di Rangoni. Un provvedimento che era scaturito proprio dalla verifica fiscale conclusa nel luglio 2018. L’imprenditore, in qualità di socio unico della società Erre Nove sa con sede in Lussemburgo, avrebbe indicato nella dichiarazione dei redditi 2013, presentata nel 2014 in Italia, elementi attivi di reddito pari a 61.348 euro, mentre l’indagine ha appurato che per quell’anno il risultato da dichiarare avrebbe dovuto essere di 39 milioni 324 mila euro, derivante da plusvalenze realizzate attraverso giri di soldi tra varie società lussemburghesi. Da qui l’imposta evasa calcolata in 16 milioni 862 mila euro.
Una contestazione che la difesa respingeva in toto, ricordando che «Rangoni non ha mai occultato nulla» ed evidenziando proprio che la medesima vicenda, ovvero l’avviso di accertamento, finita davanti alla Commissione tributaria di primo grado, aveva avuto un esito favorevole per l’imprenditore. «Il giudice tributario - aveva ricordato l’avvocato Holzeisen - sul ricorso presentato, accogliendo l’istanza di sospensione, visto il fumus boni iuris dei motivi di difesa, ha sospeso l’atto impositivo sul quale si basa questo sequestro, senza richiesta di garanzia».
L’agenzia delle entrate, infatti, voleva incassare subito i 17 milioni, oltre alle sanzioni. Ma nel merito il ricorso è stato invece rigettato e i giudici hanno condannato il ricorrente al pagamento di 15 mila euro di spese di giudizio.
Il reddito che il fisco ritiene eluso dalla tassazione italiana è, tecnicamente, il risultato di una plusvalenza di 40,8 milioni ottenuta da Erre Nove attraverso la vendita di quote di una società controllata ad un’altra società della rete lussemburghese che fa capo a Rangoni. Il ricorso dell’imprenditore contesta questa qualificazione e sostiene che l’operazione, proprio perché avvenuta tutta tra società collegate, non avrebbe dato luogo a dividendi distribuibili o utilità trasferibili a terzi, cioè ad un vero e proprio reddito tassabile.
Questo argomento è però stato respinto dai giudici tributari, come è stata bocciata anche la qualificazione di Erre Nove come holding di partecipazione, che avrebbe giustificato l’assoggettamento al più leggero fisco lussemburghese. In realtà, dice la Commissione tributaria, a Lussemburgo non si ravvisa una vera «attività di direzione e coordinamento» delle società controllate che hanno effettuato gli investimenti in Italia. Insomma, una parte dei proventi delle operazioni immobiliari sarebbe stato trattenuto nel paradiso fiscale lussemburghese.