«Le nuove sanzioni alla Russia possono fare male anche a noi. Il momento è delicato: servono freddezza e prudenza»
Intervista al professor Antonino Alì: «Scrivere che Putin è un pazzo è utile solo a non capire cosa accade. A livello strategico in questi sette anni si sono preparati a scenari che noi non comprendevamo»
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TRENTO. Meglio abituarsi subito: le sanzioni alla Russia faranno male al Cremlino, ma non saranno indolori né per le nostre imprese, né per la nostra economia in generale. Meglio farci l'abitudine, al netto di una narrazione che vuole Mosca ad un passo dal cedere sotto il peso dello stigma del mondo.
Ad avvisarci è il professor Antonino Alì, giurista di formazione, docente nella facoltà di Giurisprudenza e nella Scuola di Studi internazionali dell'Università di Trento. Che, con i suoi studenti, ha appena iniziato il corso sulle sanzioni a Russia e Iraq. Quando l'ha programmato non immaginava che sarebbe stato di così stretta attualità.
Professore, dal 2014 la Russia è sottoposta a sanzioni. Ora però sono state estremamente inasprite. E ora arriva lo swift, che entrerà in vigore il 12 marzo.
È la bomba atomica delle sanzioni?
«Di sicuro rappresenta una parte molto importante. Disconnettere alcune banche russe dal meccanismo che consente alle banche di comunicare tra loro significa bloccare l'operatività della leva finanziaria russa».
Quali le conseguenze per la nostra economia?
«Unicredit e San Paolo sono esposte per 25 miliardi sul mercato russo, e da qui si comprendono i cali bruschi che hanno avuto in borsa. Ma non è questo il fronte più esposto. Finora abbiamo ragionato meno sul fatto che prima o poi potremmo vedere la reazione russa alle nostre sanzioni. E in questo senso sicuramente le prime avvisaglie non sono positive. Finora il gioco della Russia è stato quello di garantirci comunque le forniture energetiche, ma se non dovesse farlo? Le avvisaglie le abbiamo già avute a gennaio quando la Russia, intenzionalmente, ha determinato il rialzo, giocando sugli stoccaggi e su alcune limitazioni nelle transizioni del gas. E quella energetica non è l'unica arma che hanno».
E l'altra?
«È la più pericolosa. Noi abbiamo bloccato i fondi di appartenenti alla Federazione russa, che possiede 5-600 miliardi di dollari in asset finanziari: il 70% ora sono bloccati. Quel che è avvenuto, stando ai primi comunicati, è che la Russia ha interpretato questo nostro atteggiamento come l'equivalente di un attacco militare. Alcuni analisti ritengono che in uno scenario possibile possa usare la sua capacità di deterrenza nucleare come risposta alla minaccia sui beni russi».
Putin l'ha fatto intendere.
«E in risposta il presidente Biden non ha fatto una cosa che di solito scatta: alzare l'allerta. Almeno formalmente non è accaduto, e questo ha per ora evitato un'escalation nucleare».
Con le sanzioni in atto, con l'agibilità finanziaria compromessa, quanto tempo ha la Russia prima di rischiare il collasso?
«La risposta non è così semplice. Alcuni fattori aiutano la Russia: intanto continua a vendere petrolio, gas e prodotti derivati. Questo garantisce entrate cash ogni mese, per decine e decine di miliardi. Paradossalmente la crisi ha un effetto positivo: aumentando i prezzi arriva più denaro. Ma non è solo questo».
È che è meno isolata di quanto non dica la narrazione europea.
«È così. È vero che Regno unito, Usa, Ue, persino Svizzera impongono le sanzioni. Ma c'è una grande parte del mondo che non le adotterà: India, Cina, i paesi del Golfo. Anche in una situazione di massima pressione la Russia ha qualche scappatoia. Senza contare che dal 2014 al 2022 ha fatto un notevole lavoro di dedollarificazione. Buona parte delle riserve valutarie non sono più in dollari, ha acquistato importanti quantità d'oro. E nelle casse russe si calcola che ci sia ancora un centinaio di miliardi di valuta».
Significa che si sta preparando a questo momento da anni.
«Scrivere che Putin è un pazzo è utile solo a non capire cosa accade. A livello strategico in questi sette anni si sono preparati a scenari che noi non capivamo».
Adesso ci troviamo a rincorrere. Una delle risposte, dice qualcuno, è accelerare la procedura d'ingresso dell'Ucraina nell'Ue.
«Credo che servano freddezza e prudenza. Finora si è solo dimostrata vicinanza a questo Paese. Chi spinge per un ingresso veloce immagina uno scenario preciso. L'articolo 42 paragrafo 7 implica una clausola di mutua assistenza anche di carattere militare tra paesi membri, simile all'articolo 5 del trattato Nato. Così facciamo scattare obblighi di assistenza economica e militare».
Sarebbe la terza guerra mondiale.
«Appunto. Serve freddezza nel gestire queste cose. E obiettività nel commentarle. Parliamo di una campagna militare russa che non ha funzionato. Ma siamo chiari. Non hanno usato nessuna delle tattiche usate in Siria o in Cecenia. Non hanno nemmeno scelto di effettuare attacchi aerei seri. Il giorno che dovessero farlo, sarebbe un massacro. E altrettanto accadrebbe con un assedio di Kiev. Il contesto è davvero delicatissimo».
In questo scenario internazionale, che certo non possiamo controllare, ha senso chiedersi quali saranno le conseguenze per l'economia trentina?
«Sarà toccata come tutto il resto del Paese. A partire dal tema energetico».E poi c'è la questione esportazioni.«A prescindere dalle sanzioni, la guerra genera incertezza. I primi a pagarla saranno i commerci, che immagino si fermeranno, anche al di là delle sanzioni. Un esempio: le sanzioni non toccano il mercato del vino. Ma pensiamo che restino inalterate le relazioni tra le nostre imprese e la Russia?»
Quello russo era, per i trentini, un nuovo mercato in espansione. È giusto dire che si rischia di abbandonarlo anche sul medio periodo?
«Nell'immediato direi di sì».
Un'ultima domanda, di contesto globale. Se abbiamo già usato lo swift, in caso di necessità di fare ulteriore pressione cosa ci resta?
«L'embargo totale ha già dimostrato con l'Iraq di non funzionare: danneggi la popolazione civile, che ti diventa ostile. Dall'Iraq in poi si è ragionato di sanzioni mirate, di cosiddetto targeting. Certo in un contesto come quello che stiamo vivendo, c'è un dato da tenere sempre presente. Puoi usare le sanzioni, certo. Ma devi lasciare spazio di manovra al negoziato, altrimenti nessuno ha una via di fuga. E una tigre in gabbia è incontrollabile».