Expo 2023, polemiche universali dopo il voto (anche francese) per il regime di Riad
Dopo la batosta di Roma (solo 17 voti contro i 119 della capitale araba e i 29 della coreana Busan), l'ambasciatore Giampiero Massolo ha parlato amareggiato di "deriva mercantile" in riferimento al successo schiacciante del ricchissimo regno fondato su gas e petrolio. Non hanno avuto peso le denunce di organizzazioni come Amnesty sul regime di Bin Salman: pena di morte, tortura, repressione del dissenso, intolleranza verso le diversità
ISSY-LES-MOULINEAUX. Alla fine trionfa Riad, come previsto, ma la partita non è mai neppure cominciata: 119 voti ai sauditi, compreso quello dei padroni di casa francesi, su 165 delegati votanti, 29 all'agguerrita Busan e soltanto 17 a Roma. Che ancora ieri lasciava trapelare la speranza di prenderne fino a 50 per arrivare al ballottaggio. Una débacle totale e inattesa nelle proporzioni: "fino all'ultimo, né a noi né ai coreani risultavano numeri di questa portata, quindi anche sull'ultimo miglio qualcosa deve essere successo" dice amareggiato l'ambasciatore Giampiero Massolo dopo il voto.
È lui, presidente del comitato promotore che ha lavorato due anni per la candidatura di Roma, l'unico ad alzare i toni nel dopo-votazione: "Non critico, non accuso, non ho prove, ma la deriva mercantile riguarda i governi e talvolta riguarda anche gli individui". Parole di fuoco quelle di Massolo, che sembrano evocare gli scenari del business e dell'energia e provano a spiegare una sconfitta a 360 gradi della capitale e di un progetto di riqualificazione di un quadrante della città che era di alto profilo. Un tracollo che va oltre le cifre ufficiali di 190 milioni di euro spesi da Riad per la campagna di promozione, 160 da Busan e appena 30 da Roma.
Ma il ministro degli esteri, Antonio Tajani, si è limitato invece a complimentarsi con Riad.
Una sconfitta italiana di cui si avvertiva il sapore già attorno al Palais des Congrès di Issy-les-Moulineaux, nella banlieue di Parigi, dove si è riunito il BIE per la votazione decisiva. Un voto che ha confermato l'assenza di azione comune europea, ogni Stato fa come crede per favorire se stesso: la Ue si rivela come una semplice tavola di confronto di interessi nazionali.
C'erano coreani in festa, vestiti con abiti bianchi tradizionali, che cantavano applaudendo i delegati nelle auto nere che li conducevano al voto. E che rendevano omaggio a Parigi intonando una stralunata "Oh Champs-Elysées" in coreano.
Ma soprattutto c'erano tanti sauditi, nelle Mercedes con i finestrini aperti e gli impianti stereo che sparavano musica araba, che si abbracciavano e festeggiavano già prima dell'arrivo dei delegati.
E che quando gli aventi diritto al voto sono scesi dalle auto, li hanno accolti scortandoli fino alla sala della votazione, applaudendo, gridando il nome di Riad al di fuori di ogni regola. E scambiando con loro sorrisi e pacche sulle spalle. In sala stampa, mentre scorreva il rito della presentazione delle città candidate, i tanti sauditi presenti erano già in fase di celebrazione, si abbracciavano e si davano appuntamento per stasera, a place Vendome, per una festa che si annuncia memorabile.
Per il a dir poco controverso principe ereditario nonché uomo forte saudita Mohammed bin Salman, l'assegnazione di Expo 2030 rappresenta di fatto la ciliegina sulla torta del suo ritorno da protagonista sulla scena politica, dalla quale era stato per lo più emarginato. Nonché il concreto ritorno dell'offensiva diplomatica, e soprattutto finanziaria che ha condotto per anni a suon di miliardi di dollari, o meglio di petrodollari.
L'ultimo investimento sotto gli occhi di tutti è stata l'invadente campagna pubblicitaria (e non solo) sull'opportunità di assegnare a a Riad la prestigiosa manifestazione che risale al 1851 in corso su ogni autobus, taxi o cartellone proprio a Parigi, dove si è deciso dell'Expo. Ma la strada percorsa per arrivare a questo successo è stata lunga.
E anche irta di scossoni, provocati ad esempio dall'accusa sollevata da più parti al principe di essere il mandante dell'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018. Oppure dal tutt'altro che edificante capitolo diritti umani nel regno.
A cominciare dalle torture e dalle esecuzioni della pena capitale: secondo Amnesty International, solo tra gennaio e ottobre di quest'anno l'Arabia Saudita ha messo a morte 112 persone.
Per non parlare delle critiche che vengono rivolte al regime per la repressione di ogni forma di dissenso, per un sistema giudiziario non equo, per le limitazioni alle libertà delle donne, nonché per l'intolleranza nei riguardi di omosessuali, femministe e atei.
Ma il ritorno del principe - accelerato dalla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina - era in realtà già iniziato da tempo e il successo di oggi segna una tappa fondamentale della sua più vasta offensiva avviata dal 2016, quando ha svelato i primi dettagli del 'Vision 2030', il suo progetto da completare proprio nel 2030 per ridurre la dipendenza del regno dal petrolio sviluppando settori come il turismo, la finanza e soprattutto l'intrattenimento, ovvero lo sport.
Per realizzare tale visione, il principe ha a disposizione il fondo sovrano monstre da ben 650 miliardi di dollari dell'Arabia Saudita, dal quale ha peraltro attinto per accaparrarsi il circo del pallone e le sue star globali, come Cristiano Ronaldo, Neymar o Roberto Mancini, e acquisire influenza sul golf mondiale e anche nella Formula 1, di cui la compagnia petrolifera nazionale dell'Arabia Saudita Aramco è uno dei principali sponsor: da un paio d'anni non a caso un gran premio a stagione si corre anche a Riad.
Sempre a colpi di petrodollari l'ente turistico del Paese, Visit Saudi, è diventato il principale finanziatore della nuova African Football League e il partner globale ufficiale della Confederazione calcistica asiatica. Oltre ad avere un accordo di sponsorizzazione con la Liga spagnola, mentre in Italia la Roma ha stretto un'intesa biennale con la Riyadh Season, un programma saudita per il turismo. In questo quadro è peraltro ormai pressoché certa l'assegnazione all'Arabia Saudita anche della Coppa del mondo Fifa maschile del 2034, dopo che la federazione calcistica australiana si è sfilata il mese scorso.
Per ottenere l'Expo, secondo varie fonti, il regno ha stanziato quasi otto miliardi di dollari, e lo ha promosso con il sibillino slogan 'L'era del cambiamento: insieme per un domani lungimirante'. Sperando di archiviare così imbarazzanti episodi del passato.
Di italiano c'era invece molto poco a Issy-les-Moulineaux, a parte la delegazione ufficiale guidata dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri, dal ministro dello Sport Andrea Abodi e da Massolo. Con loro, le tre donne che Roma aveva scelto come simbolo per questa finale, Trudie Styler, Bebe Vio e Sabrina Impacciatore.
Nonostante i loro sforzi, era probabilmente tutto già scritto, come ha denunciato Massolo: "Noi abbiamo giocato una partita secondo le regole della comunità internazionale, le competizioni si vincono sui progetti, sulla qualità, sulle idee. A noi, alcuni delegati hanno detto di essersi promessi ad un concorrente ben prima che esistessero i progetti e ben prima delle candidature".
Per il presidente del comitato promotore, poi, "anche sull'ultimo miglio deve essere successo qualcosa, non risultava a nessuno una sconfitta in queste proporzioni".
Quello di Roma "era un bellissimo progetto", ma la vittoria di Riad è stata "schiacciante", ha ammesso il sindaco Gualtieri.
"Purtroppo - si è rammaricato - non si vince con il premio della critica, del pubblico, ma con il voto degli ambasciatori". Il ministro Abodi guarda avanti: "non penso che l'universalità di Roma passi necessariamente per l'esposizione universale". Per lui, "c'era un dossier qualitativo al quale il governo ha dato tutto il suo supporto dal primo giorno. Questo il senso della squadra nazionale".
Per la vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angelilli, "Roma deve crescere, deve misurarsi di più sul futuro, l'innovazione, le nuove tecnologie, la ricerca. Dobbiamo recuperare una immagine vincente".
"La designazione di Riad per Expo 2030 è sicuramente un'occasione persa non soltanto per Roma ma per l'intero Paese", scrive sui social il presidente del M5s, Giuseppe Conte. "Questa sconfitta segnala la necessità e l'urgenza di un regime speciale che riesca a valorizzare la Capitale d'Italia ma anche l'assenza di un Governo che evidentemente ha disertato la partita. Meloni dovrebbe spiegare le ragioni per cui il suo esecutivo ha tirato i remi in barca ancor prima di iniziare a remare. Deve chiarire per quale motivo la candidatura di Roma ha racimolato appena una manciata di voti, giungendo addirittura terza. Non basta lo strapotere economico ostentato dalla Arabia Saudita in questa partita a giustificare un fallimento così grave: temiamo purtroppo che dietro ci sia un disinvestimento politico che lascia presagire tempi amari per Roma e l'Italia tutta. I romani e gli italiani meritano trasparenza e verità".
Per Gualtieri ora si tratta di salvare il salvabile, non buttare via due anni di lavoro e di progettualità attorno alla candidatura, provare a trasformare in realtà - almeno in parte, si vedrà - gli spunti nati dalla corsa a Expo 2030. E anche provare a stornare da sé e dalla città la polemica politica attorno a una sconfitta che ora mette nel mirino, assieme, il Campidoglio dem e il Palazzo Chigi a trazione sovranista.
L'idea del sindaco di Roma sembra proprio questa: dare un futuro all'Expo che non sarà. "Abbiamo messo in campo un progetto bellissimo di riqualificazione di un quadrante di Roma e vogliamo portarlo avanti lo stesso, in forme diverse", dice a caldo.
"Siamo amareggiati, una brutta sconfitta, schiacciante. Riad ha dilagato oltre ogni previsione" dice mentre impazza la festa saudita. Dalle parole del sindaco non sembrano emergere atti di accusa rivolti verso l'Italia: "Obiettivamente con questo tipo di risultato è molto difficile immaginare un esito diverso. Riad ha espresso una forza economica che avevamo visto durante la campagna elettorale". Questo a Parigi.
A Roma, intanto, cresce la polemica e il primo a sollevarla è il leader di Azione Carlo Calenda: "Un'occasione persa per Roma ma anche per Expo. Una candidatura nata male e sostenuta peggio". Il capogruppo di Iv al Senato Enrico Borghi è più duro: "Una figuraccia galattica sia di Gualtieri che di Meloni. Ottenere solo 17 voti dimostra una irrilevanza che l'Italia non merita. I sovranisti non sono credibili a livello internazionale. E il Campidoglio deve darsi una mossa, perché questa Amministrazione non funziona".
Tanto da far sembrare l'opposizione diretta del sindaco - il M5s del Comune - persino prudente: "Meloni si prenda le sue responsabilità politiche - dicono - La Roma di Gualtieri ha enormi difficoltà ma qui il problema è chiaramente anche più in alto".
Ora però, riflette Gualtieri, abbiamo in mano "una eredità che cercheremo di portare avanti". Perché se Expo è sfumata restano però 618 pagine fitte di dossier, piene di progetti, idee, spunti: un gigantesco parco solare urbano, un corridoio ciclopedonale dal centro storico a Tor Vergata passando per l'Appia Antica, una ramificazione della metro C, l'anello ferroviario e poi naturalmente la rinascita della Vela di Calatrava. Cosa si potrà salvare dall'elenco e cosa resterà un sogno è presto per dirlo.
Ma andare avanti è quello che chiedono le categorie produttive: "Ci auguriamo che il progetto venga comunque realizzato - dice il leader di Unindustria Angelo Camilli - e che ci sia, come per la candidatura, il sostegno del governo". Il presidente della Camera di Commercio di Roma Lorenzo Tagliavanti guarda avanti: "Un altro grande evento internazionale è ormai alle porte, il Giubileo del 2025". Che sul quadrante di Tor Vergata, quello dell'Expo perduta, vede già investimenti colossali: 150 milioni per la Vela e 24 milioni per la viabilità di collegamento.