Occupazione / Dati

Paghe basse, economia stagnante: ecco perché il Trentino è fermo al palo e i nostri giovani se ne vanno

L’analisi dei dati della Camera di Commercio, secondo il professor Barbieri: «Se non fosse per mamma Provincia, le nostre aziende sarebbero spazzate via»

ANALISI Il Trentino non assume i suoi laureati. Che scappano
LO STUDIO Trentino, nel 2040 popolazione in caduta libera
IL TREND L'indagine sulla denatalità nei comuni del Trentino
ESPERTO Perché tanti giovani trentini non intendono avere figli

di Marica Viganò

TRENTO. «Abbiamo un'università di livello ma un territorio che fa fatica, con punte di eccellenza che però sono piccole realtà, mentre manca un sistema produttivo, mancano le imprese». Paolo Barbieri, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro presso l'Ateneo trentino, analizza i risultati dell'indagine sui fabbisogni occupazionali elaborata dal Centro studi della Camera di Commercio

Tanti giovani preparati qui non trovano opportunità per una crescita professionale: questo è oggi il "sistema Trentino", che offre sì posti di lavoro, ma a favore di persone non specializzate. Senza contare che le retribuzioni sono più basse che nelle regioni vicine: ecco il motivo della fuga dei laureati all'estero o in altre realtà italiane.

Professor Barbieri, dallo studio emerge che in Trentino c'è tanto lavoro ma a bassa produttività. Per chi è specializzato non ci sono tante chances…

Non nascondo che non è positiva la situazione del mercato del lavoro, produttiva ed occupazionale: il Trentino non è più quello di 10 o 15 anni fa. Abbiamo retribuzioni più basse della media italiana, inferiori al Veneto ed alla Lombardia. Se facciamo un confronto con Bolzano e con l'Euregio le nostre retribuzioni scompaiono. Il problema è che in Trentino le imprese cercano lavoratori manuali, poco o niente qualificati, come addetti alle pulizie, ai trasporti, ai magazzini. Figure professionali serie e legittime, ci mancherebbe. Il problema è che in Trentino le imprese cercano solo quelle. Significa che nel nostro territorio non ci sono altre opportunità di lavoro?Il punto è che le imprese non innovano: dai dati emerge che, piuttosto che innovare, le imprese preferiscono rinunciare alla commessa. Significa che se da un lato càmpano, dall'altro se venisse meno il ruolo di "mamma Provincia" non sarebbero in grado di restare.

Dunque alcune di queste imprese scomparirebbero se non ci fosse la Provincia autonoma?

Sì, la mia sensazione è questa. Sono due anni che dall'analisi delle retribuzioni emerge che qui i salari sono più bassi delle aree attorno. C'è un problema di settori, certamente. Manca la parte innovativa, della tecnologia e delle professioni avanzate. La competitività si gioca sulla qualifica dei lavoratori: il punto è che le imprese trentine non cercano i laureati.Il territorio punta sul settore turistico, soprattutto sull'accoglienza ad alto livello. Sì, ma c'è turismo e turismo. Un laureato trentino non va a fare le pulizie in un albergo. Se i settori delle aziende qui presenti sono quelli del turismo, dei trasporti, degli alberghi, delle pulizie, è chiaro che c'è un deficit anche di politica industriale. Si fanno le polemiche sugli orsi, ma le polemiche andrebbero fatte sul perché le imprese non innovano, non investono sui laureati. I fenomeni che oggi fanno la differenza sono l'innovazione delle imprese e la capacità di queste di essere competitive. Ma, se le imprese si sono settate con strategie di produzione basate sulla riduzione dei costi, alla fine riducono anche i costi di lavoro. E così non si compete. Queste sono strategie da Terzo mondo.

Detto così, pare che il Trentino stia andando indietro…

L'immagine che emerge dai dati è che il Trentino si è seduto su quella che 10-15 anni fa poteva essere una situazione di benessere e che adesso è sempre più minata dalla incapacità di stare al passo con l'evoluzione tecnologica. So che Confindustria ha ben presente il problema, confido nel lavoro del nuovo presidente, ma c'è una fetta importante dell'economia trentina che si setta su modi di produrre, di competere, su settori labour intensive e da ciò non si tira fuori una grande capacità di crescita, di sviluppo, di competizione.

Per uscire da questa situazione un aumento degli stipendi sarebbe più che auspicabile?

Sì, ed i sindacati qui non sono contrari a ragionare di salario minimo. Questo sarebbe un primo passo. Anche perché non c'è competizione senza un sistema di welfare adatto a sostenere la competitività del territorio. È necessario ragionare in chiave sistemica, fra imprese, politica e università: l'università qui produce laureati, il problema è che vanno a lavorare altrove.

Dunque il paradosso del Trentino è che abbiamo un'università di livello ma non un tessuto economico in grado di accogliere i laureati?

È così. Certo non mi auguro che tutti i laureati trentini restino in Trentino: l'auspicio è che possano avere l'opportunità di avere in Trentino gli stessi salari che ricevono in Lombardia ed in Veneto. Di imprenditori che rischiano e che investono qui, non abbiamo un vivaio. E quelli che ci sono capiscono che conviene spostarsi. Credo che il ruolo delle istituzioni sia fondamentale e che le istituzioni a Milano, come a Bologna, Francoforte e Mannheim siano più reattive. In Trentino ci vuole un salto di qualità. Deve esserci un territorio reattivo, oltre che un sistema di istituzioni che si renda conto che se perdiamo questo treno il Trentino continua a regredire.

Il turismo di qualità non basta?

Non è che il turismo di qualità ci sia ovunque. Vedo un sacco di alberghi che portano vagonate di pensionati. Questi alberghi servono per sopravvivere, certo. Mi domando però se questo è turismo di qualità. Il turismo di qualità è ecologia, ambiente incontaminato, sennò diventa un modello di sviluppo come a Rimini negli anni Settanta. Vogliamo questo modello di sviluppo? Con i salari bassi? E poi ci lamentiamo se arrivano gli immigrati a fare i lavori nel settore delle pulizie. I giovani trentini che hanno studiato non vogliono andare negli alberghi. E a questi giovani bisogna dare una risposta. Noi come università il nostro lavoro lo stiamo facendo, stiamo formando giovani bravi che però non ci stanno ad aspettare anni che il sistema si accorga di loro. Non solo c'è una fuga di cervelli, ma c'è un drenaggio di investimenti perché noi investiamo tanto per formare i giovani.

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