Delladio: «Innovazione e ricerca, così riparte il Trentino»
Il presidente di Confindustria: «L’unico modo per ricominciare a crescere in qualità del lavoro è
l’aumento della produttività. Anche le imprese devono fare la loro parte, chi non rimette in circolo la crescita investendo, blocca il circolo virtuoso»
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TRENTO. «I dati presentati dalla Camera di Commercio purtroppo non ci sorprendono perché confermano il rallentamento in termini di produttività che il territorio nel suo complesso ha intrapreso negli ultimi vent’anni. Ormai da tempo siamo consapevoli, come industria, che l’unico modo per poter davvero cambiare la rotta e ricominciare a crescere in termini di qualità del lavoro e benessere della comunità è l’aumento della produttività. Detto in altri termini: ci vuole più impresa, e più impresa di qualità».
Per non proseguire su un binario morto il Trentino e la sua economia hanno bisogno di trovare nuove strategie di sviluppo. Per Lorenzo Delladio, neo presidente di Confindustria, non c’è da inventare nulla, se non vedere ciò che si è fatto in territori di riferimento.
L’innovazione.
«I principali driver della crescita della produttività li conosciamo - dice -. L’innovazione è forse il principale, perché porta con sé altri due fattori fondamentali: dimensione aziendale e internazionalizzazione. Questi tre elementi sono difficili da scindere: un’impresa che innova si differenzia nel proprio mercato e cresce dimensionalmente, puntando poi a nuovi mercati su scala globale, crescendo ancora e potendo quindi reinvestire in innovazione. Questo paradigma circolare nella teoria è quanto di più chiaro e concreto ci possa essere in termini economici».
Chi si ferma è perduto.
«L’impresa che non rimette in circolo la crescita economica operando nuovi e ulteriori investimenti in innovazione blocca quel circolo virtuoso. Ecco, questo è quello che dobbiamo evitare, in qualsiasi settore, per non correre il rischio, come dice il prof. Barbieri, di sedersi sugli allori e non pensare al futuro.
Ricerca: imprese indietro.
«Il Trentino è un territorio innovativo, con un’Università e dei centri di ricerca di eccellenza. Lo dimostrano i dati Istat ed Eurostat sugli addetti in ricerca e sviluppo: in Trentino 8,95 ricercatori su 1000 contro i 7,72 del Nord-Est o i 5,64 dell’Italia. Il problema è a livello di imprese: da noi 3,94 ricercatori su 1000 residenti contro i 5,13 del Nord-est e anche in termini di investimenti come incidenza sul Pil siamo al di sotto della media del Nord-est. Se non saremo in grado di colmare questo gap tra pubblico e privato sarà sempre più complicato perseguire quel trasferimento tecnologico che porta all’innovazione. In questo senso sicuramente il pubblico può creare le condizioni ideali perché la filiera tra scuola, formazione, ricerca e imprese dialoghi di più, ma non c’è dubbio che le imprese devono fare la propria parte nelle scelte strategiche».
Lavoratori che mancano.
«Sono sincero: quando leggo alcuni dati rimango allibito. Ciò che emerge dalle operazioni di ascolto che riserviamo ai nostri associati è che le imprese industriali trentine cercano profili professionali che non trovano, di qualsiasi selezione si tratti. Dall’indagine realizzata in estate sugli studenti abbiamo capito che imprese e giovani impiegano canali diversi per comunicare. Mi chiedo: qual è l’impatto di un fenomeno come questo sul mismatch tra domanda e offerta, dunque sui dati di una ricerca Excelsior?
Attirare i giovani.
«Da tempo le imprese hanno introdotto piani di welfare aziendale, e sono disposte - ce lo ha detto l’indagine - a pagare i giovani lavoratori più di quanto essi non si aspettino. Però dobbiamo fare di più perché la percentuale di giovani sul totale delle assunzioni in Trentino è del 26,6 per cento, contro il 30 nazionale. Secondo un recente rapporto di Fondazione Nord-Est, i giovani vanno all’estero perché non vedono nelle nostre imprese opportunità di carriera e di crescita professionale. Dunque dobbiamo affiancare a salari competitivi e welfare, anche un livello di conciliazione vita-lavoro adeguato e un piano formativo che faccia sentire questi giovani nel posto giusto».
Il ruolo dell’industria.
«Senza volere entrare in nessun modo in competizione con gli altri comparti economici, devo ricordare che il settore industriale presenta dei livelli di produttività più elevata rispetto alla media trentina. Non solo: anche rispetto a quella italiana per lo stesso settore. La produttività del nostro comparto è infatti cresciuta tra il 2000 e il 2022, in livelli assoluti, dell’89% contro il 70 a livello italiano (70%). In termini nominali abbiamo un valore aggiunto per occupato di 113.885 euro contro gli 86.406 italiani.
Guardare all’Europa.
«Dice bene in ogni caso il segretario della Cgil Andrea Grosselli: il nostro paragone non può essere l’Italia, che soffre ormai da un ventennio di bassa produttività. Dobbiamo guardare ai territori del Nord Europa: qui, pur essendo ancora tra le province più ricche, il confronto in termini di crescita e peso dell’industria è impietoso, come hanno confermato i dati Ocse a inizio anno».
Alzare i salari.
«Tema è al centro del mio mandato: l’obiettivo è realizzare un incremento delle retribuzioni attraverso un incremento della produttività. Un risultato che genererà a sua volta un aumento dei consumi, del gettito e quindi degli investimenti, per un impulso ulteriore al benessere e all’attrattività del territorio. Affinché ciò avvenga, occorre tuttavia l’alleanza di una pubblica amministrazione capace di scelte coraggiose: di incanalare gli investimenti e indirizzare le strategie di incentivazione verso innovazione e ricerca».