Economia

Il manager trentino: «Dazi, una doccia fredda anche per noi importatori»

Federico Zanella lavora a New York: «Ora regna un'incertezza enorme». Le imposte di Trump sui vini interessano tutta la filiera: la Vias Imports Ltd da 42 anni è operativa nella Grande Mela importando bottiglie da tutto il mondo, Trentino compreso. Il Ceo: «Auspichiamo un intervento dei governi per mitigare il colpo. I vini che costano meno, come pinot grigio e prosecco, sono certamente i più colpiti»

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di Matteo Lunelli

TRENTO - Non solo i vignaioli. L'allarme per i dazi imposti dal presidente americano Donald Trump riguardano tutta la filiera del vino. A New York, ad esempio, c'è Vias Imports Ltd, un'azienda che importa vino da ogni angolo del mondo, Italia e Trentino compresi, e lo distribuisce in tutti gli Stati Uniti.

Il Ceo Federico Zanella, trentatreenne di Trento, dopo gli studi al Politecnico di Milano, da 8 anni vive e lavora nella Grande Mela: «L'azienda è stata fondata da mio zio Fabrizio Pedrolli nel 1983, ha sede ha New York e oggi insieme a mia cugina Giorgia Pedrolli abbiamo una sessantina di dipendenti. Nel nostro portfolio ci sono principalmente vini italiani, di cui una decina di cantine tra Trentino e Alto Adige, ma poi importiamo 4 milioni di bottiglie all'anno anche da Francia, Cile, Spagna, Georgia, Nuova Zelanda e altri ancora. Su New York e New Jersey la vendita è diretta, mentre nel resto dell'America ci affidiamo a dei distributori».

Dall'annuncio di Trump il suo telefono e la sua mail sono "impazzite": capire cosa accadrà è difficile, il futuro è incerto, con tante domande e risposte, ma almeno dopo alcuni mesi di ipotesi ora i numeri e le percentuali sono ufficiali.

«Dal nostro punto di vista di importatori americani il primo auspicio è che ora entrino in gioco i governi per fornire un aiuto ai produttori: se le cantine avessero le possibilità di abbassare i prezzi il colpo potrebbe essere mitigato. Negli scorsi mesi abbiamo fatto delle stime e dei calcoli e consideravamo una percentuale intorno al 10 o 15% assorbibile dalla supply chain, ovvero dal sistema di organizzazioni, aziende, attività coinvolte nel processo che porta un prodotto dal fornitore al cliente. Il 20% è troppo e un ritocco dei prezzi sarà inevitabile.

Inoltre questi dazi, in un mercato ultra competitivo come quello americano, arrivano in un momento nel quale il dollaro si sta svalutando, e quindi comprare in Italia diventa meno favorevole, e di incertezza a livello di borsa.

E negli Usa quando la borsa va male ne risentono anche tanti aspetti, come i fondi pensione. Infine c'è un altro aspetto per contestualizzare il momento storico in cui sono arrivati i dazi: i vini americani sono boicottati in alcune parti del Canada e questo ha portato a più di 400 milioni di dollari di vini Usa in più da consumare "internamente" .

Ecco, a tutto questo aggiungiamo il 20% e si capirà perché la situazione è preoccupante». Le difficoltà saranno per tutti, ma non uguali per tutti. «Argentina e Nuova Zelanda, ad esempio, avranno dazi del 10%, con un impatto che sarà quindi della metà rispetto all'Italia. Mentre il Giappone è al 35%.

Penso ai ristoranti di sushi, che abitualmente servono il sakè: importarlo avrà costi altissimi. Ma ovviamente lo stesso discorso vale per un ristorante italiano o francese, che sia a New York, a Los Angeles o a Miami: lì i clienti chiedono vini specifici e tipici. Il vero impatto lo ha chi commercia e si tratta quindi di aziende americane, anche se di origine trentina come la nostra».

Il giovane manager trentino ci fornisce un esempio molto pratico: un importatore che compra 100 milioni di euro di vino, facendo poi tutti i passaggi su cambio, fatturato, costi e ricavi, potrebbe avere un utile di circa 14 milioni - circa al 10%, e solo i più virtuosi ci riescono - Con i dazi ci sarebbero 21 milioni di spese in più e quindi l'importatore chiuderebbe il giro di affari con una perdita secca di 7 milioni.

«Questo esempio per capire come il tema della sostenibilità economica sia enorme. L'importatore, inoltre, il dazio dovrebbe pagarlo subito, diciamo direttamente nel porto dove arrivano le bottiglie, altrimenti non vengono scaricate e consegnate.

Infine ci sono le diverse tipologie: i vini che costano meno, come il pinot grigio o il prosecco, che hanno contribuito alla crescita del numero del volumetrico totale dell'esportazione italiana, andrebbero a soffrire di più perché più sensibili a un cambio, anzi a un aumento di prezzo». Insomma, una situazione complicata anche per chi aiuta a distribuire le eccellenze italiane e trentine in giro per il mondo. «Il rischio è di perdere il piazzamento», aggiunge ancora Zanella. Che ora è rientrato in Italia e in questi giorni sarà al Vinitaly.

[nella foto, Federico Zanella, Giorgia Pedrolli e Fabrizio Pedrolli di Vias Import vini a New York]